E noi si sta a guardare

La classe dirigente
La classe dirigente

Sono un po’ di mesi che sul globo terracqueo succedono delle cose. Cose che, probabilmente, fra qualche anno i nostri figli o nipoti studieranno sui libri di storia: la crisi economica che ha spazzato via lo stato sociale novecentesco – così come la caduta del muro di Berlino spazzò via il “Comunismo” (e chi non vede il legame tra i due avvenimenti, peste lo colga); il rischio di fallimento di alcuni stati europei, indebitati con quelle banche che sono state la causa principale della crisi di cui sopra, ma che sono state le uniche organizzazioni non solo a non subirne gli effetti – a subirli in maniera marginale – ma anche ad essere state lautamente salvate col denaro pubblico; il ritorno delle rivolte per il pane, soprattutto nei paesi più poveri; il ritorno, pure, della “rivoluzione”, parola tabù del nuovo millennio. Ritornata non in Occidente, bensì in nord Africa, presso quegli stati “islamici” che noi eurocentrici ci immaginavamo culturalmente inesistenti e politicamente bloccati da un radicalismo religioso semi terroristico. Tutto questo in un quadro di guerra internazionale ormai continua, con gli USA che cercano di mantenere – con la forza delle armi – quel poco di dominio mondiale che gli è rimasto, e la Cina che se lo conquista con un’economia – schiavista – che cresce a ritmi inimmaginabili da noi.

Da noi, intanto, siamo in pieno revival da basso Impero, con Presidente del Consiglio che ormai si occupa esclusivamente a salvarsi il culo (flaccido, pare), buttando in malora quel poco di “democratico” che è rimasto del nostro Stato, in un conflitto aperto e perenne tra le istituzioni – esecutivo contro magistratura; presidenza della repubblica contro esecutivo; magistratura con magistratura; ministri contro funzionari pubblici; Stato e Mafia (ma dov’è la differenza?) contro cittadini – e parte del paese che ormai è seriamente intenzionata a scollarsi di dosso la sua parte di responsabilità per il benessere collettivo, in un rigurgito xenofobo ed individualista che dovrebbe far paura, se ci fosse ancora qualcuno in grado di percepire queste cose.

In questo marasma tragicomico – sempre più tragico e sempre meno comico – il meglio che la Sinistra riesce a proporre è la retorica d’antan di Nichi Vendola, che cerca di battere Berlusconi con le sue armi: il personalismo e le vuote chiacchiere che dovrebbero far leva non si sa bene su cosa, vista la situazione politico – culturale generale scaturita da 15 – 20 anni di lavaggio del cervello mediatico a tutto tondo. Chi, come me, è appassionato di letteratura cyberpunk – l’unica veramente realista degli ultimi anni, assieme a qualcosa del postmoderno – e di Neal Stephenson in particolare, si sentirà assolutamente a casa, in quesata situazione. Purtroppo.

Ma “noi”, che fine abbiamo fatto? Dov’è finita l’intelligenza collettiva che portò in Italia gli aspetti più innovativi della rete quando ancora nel nostro paese il massimo ri/conosciuto a livello collettivo era il Fax? Dove sono finiti quegli intellettuali scalzi che riuscivano ad annusare le novità culturali, politiche, tecnologiche e sapevano poi riproporle rinnovate, radicalizzate, sul nostro triste scenario?

Dall’alto del mio eremo montano – ecco perché alto – non vedo più che nebbia. La lontananza rende tutto più piccolo, la soppravivenza mi toglie tempo ed energia, ed al massimo riesco a scorgere, o penso di scorgere, i tratti generali delle dinamiche – la tendenza, si diceva pomposamene una volta – senza più la capacità di percepire il dettaglio e di metterlo a frutto.

Se qualcosa riesco ad immaginare, di un futuro che percepisco sempre più fosco, è un ritorno ad un collettivismo della sopravvivenza – Società di Mutuo Soccorso, Cooperative di Consumo, Società Operaie – in un tentativo di recuperare socialità dalla necessità, sperando – sognando? – che questo aiuti a riconnettere esperienze, a riprodurre composizione dove ormai domina l’individualità, il timore, il sospetto.

Una fatica improba, che spesso si rifugge per stanchezza e delusione, per pigrizia ed incapacità. Ci si contenta a tirare avanti, si schiva il disastro, quando ci si riesce, e ci si racconta che, comunque, siamo sempre Compagni, perché ritwittiamo le notizie di chi la Rivoluzione la sta facendo per davvero.

Ed ora vado a tagliare la legna.

4 risposte a “E noi si sta a guardare”

  1. vecchio mio, non potevi girar meglio il coltello nella piaga 🙂
    le mie considerazioni, infatti, erano in tutto e per tutto autobiografiche. non dubito che ci sia ancora gente che lotta e bla bla bla. ne vedo pochina, rispetto una decina di anni fa, ma anche perché mi son posizionato dove si fa fatica a vedere… non a caso ho parlato di sms, cooperative e altri ammennicoli: son convinto che il nostro futuro sia l’800, se siamo fortunati.
    senza dubbio ho fatto quanto hai descritto sopra, senza manco la speranza di crescere mio figlio in un mondo buono: semplicemente è successo, e quando è successo non ho avuto la capacità di trovare o di scegliere un’alternativa.
    anch’io m’ero ripromesso che non avrei fatto questa fine…
    il che non significa che non trascini qualche rodimento di culo anche qui sulle montagne: ma senza tessuto connettivo, quel che si va a fare è la scoreggia del canarino.

  2. le tue considerazioni generali sono più che condivisibili vecchio mio, anche io spesso mi deprimo e rifletto mentre spacco la legna, ma se scendi dalla montagna come il vecchio Zarathustra e vieni a vedere da vicino cosa fanno gli uomini e le donne della valle, ti accorgerai che molti dei compagni oltre a twittare ancora si spaccano il culo per le cose in cui credono. poi certo, sono lotte marginali, locali e magari difficilmente inquadrabili in un contesto macro-politico, ad una visione a volo d’uccello che ti faccia sentire quanto le lotte sono unite fra loro, quanto tutto è collegato, quanto le cose stanno per cambiare. Ma la storia ha voluto che vivessimo in un contesto dove tutto casca a pezzi, le persone e le cose sono disgregate come le parole e i pensieri, e tutto o quasi tutto sembra inutile, superfluo, vano. Sarà per questo che molti dei miei compagni hanno deciso di fare figli e scomparire? per chiudersi a riccio dentro un’intimità che basta a se stessa? Perché certi di poter crescere un buon prodotto culturale? per avere un welfare familiare quando saranno vecchi? perché pensano che il mondo che lasceranno in eredità ai loro piccoli sarà comunque un buon posto dove vivere? Mi guardo intorno e siamo sempre meno, perché siamo diventati tutti grandi, si mette su famiglia, si pensa al lavoro, si compra la casa. Siamo diventati come i miei vecchi e io non ci volevo diventare. Questa è la mia più grande amarezza.

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