Stampa Alternativa, ci risiamo coi fascisti

Ci risiamo, dopo aver aspettato che le acque si calmassero dopo l’appuntamento mancato con i ratti di casapound (vedi questo, quest’altro e quest’ultimo articolo), il buon Marcello Baraghini, triste patron della storica casa editrice Stampa Alternativa, torna alla carica del suo nuovo target editoriale: i più fetenti neofascisti, sicuramente un pubblico più grande e ricco in questa miserrima italietta berlusconiana. Come? Ma pubblicando libercoli immondi e revisionisti, a partire da questo sul Che:

Mario La Ferla, L’ALTRO CHE. Ernesto Guevara mito e simbolo della destra militante

Non l’ho letto – e non intendo leggerlo – ma mi sono avvalso e fidato della recensione di Antonio Moscato, uno dei più seri ed equilibrati studiosi della Cuba rivoluzionaria, critico impietoso e libertario. Di seguito, dal manifesto di ieri:

Antonio Moscato

Che Guevara, un comunista a Casa Pound

Non è sorprendente che i fascisti di Casa Pound cerchino di
appropriarsi del «mito del Che». Il 9 ottobre «celebreranno» la morte
di Guevara presentando un libro di Mario La Ferla, L’altro Che. Ernesto
Guevara, mito e simbolo della destra militante (Stampa Alternativa,
Roma, 2009) con la partecipazione di oratori anche «di sinistra», ma
non dell’autore (la casa editrice pare non voglia)). Presentarsi a
volte come rivoluzionaria, è una vecchia tecnica della destra, dal
fascismo «diciannovista» di Mussolini in poi. Stavolta non fanno
nessuna fatica a utilizzare il libro di Mario La Ferla, che parla del
Che per poche pagine (con sviste e sfondoni vari), e per il resto è una
rifrittura di luoghi comuni su Catilina, D’Annunzio, Pavolini,
Bombacci, Perón, il «nazional-bolscevico» Limonov, ecc. Tra i suoi
«autori» c’è perfino quell’Andrea Insabato, che mise una bomba al
manifesto.
La
Ferla è stato spinto a occuparsi di Guevara da un articolo di Gabriele
Adinolfi
, presentato nel libro in termini apologetici. Si capisce
perché: l’autore ha semplicemente scaricato la presentazione del
terrorista nero fondatore di Terza posizione dal suo sito. Il libro
rivela poche e superficiali letture, segnalate alla rinfusa, tra cui
spicca Alvarito Vargas Llosa. A Casa Pound non si sono sbagliati quindi
a invitare La Ferla. Glielo lasceremmo proprio volentieri. Ma Guevara
no. La Ferla tenta di accreditare un Che di destra perché «influenzato
da Perón», di cui evidentemente non sa nulla, e che considera tout
court fascista. Un contatto diretto tra i due vi fu, non durante il
viaggio del 1959 nei paesi ex coloniali, come scrive, ma nel 1964, e
aveva ben altro senso. Era stato preparato da molti peronisti di
sinistra che si addestravano a Cuba (e che formeranno i montoneros). La
direzione cubana aveva offerto allora senza successo a Perón, ancora
appoggiato da gran parte della classe operaia argentina, di trasferirsi
a Cuba per preparare un ritorno di lotta. L’ambiguità di Perón si
doveva chiarire – con la tragica svolta a destra – solo dopo il suo
ritorno in patria – v. «Quaderno n. 3» della fondazione Guevara, con
preziose testimonianze di argentini. Era comunque inverosimile che
Perón avesse presentato il Che a Boumedienne: il rapporto di Guevara
con l’Algeria era strettissimo, ma con Ben Bella, con cui c’era una
sintonia profonda. Il colpo di Stato di Boumedienne parve e fu una
catastrofe per l’impresa congolese in preparazione.
La vera
incompatibilità tra i fascisti di qualunque genere e il Che nasce dalle
caratteristiche essenziali del pensiero e dell’azione di Guevara. Prima
di tutto dal suo internazionalismo, al tempo stesso etico (sentire
sulla propria guancia lo schiaffo dato in qualsiasi parte del mondo) e
materialista (stabilire intese con altri paesi produttori di zucchero,
per evitare di farsi la concorrenza). Altrettanto lontano dal fascismo,
anzi anti-fascista, il suo «dobbiamo saper essere duri senza perdere la
tenerezza», che difendeva come inevitabili le misure di autodifesa di
una rivoluzione uscita da una lotta feroce, ma vigilava contro i
pericoli di involuzione autoritaria. Esemplare un discorso severissimo
del ’62 ai membri della Seguridad contro la tendenza a inventarsi
nemici.
Altra caratteristica del Che, che lo rendeva diversissimo
sia dai politici borghesi (democratici o fascisti)sia da quelli del
«socialismo reale», era l’assenza di ogni indulgenza per i propri
errori, in cui ricercava la prima causa di ogni male.
Ma basterebbe
l’internazionalismo del Che a ridicolizzare ogni pretesa di annetterlo
al fascismo. Un internazionalismo che presto rifiuta ogni «campismo», e
cerca legami diretti con i movimenti di liberazione, non con gli Stati,
e anzi ne vuole controbilanciare l’influenza. Basterebbe aver letto il
Messaggio alla Tricontinentale e il Discorso di Algeri, con le sue
critiche severe ai «paesi socialisti», per capirlo. Va detto con
tristezza che gran parte della sinistra, anche quando rende omaggio al
Che, ne ignora questa dimensione. E a chi cerca di annetterselo come
«fascista di sinistra», raccomandiamo la lettura di un testo
emozionate, e attualissimo, Lettera ai giovani comunisti (vedi
http://antoniomoscato.altervista.org/)
È vero che c’era anche chi
cantava «il Che Guevara ci piace sì, perché invece di parlare spara»;
se il Che fosse stato solo questo, ogni annessione sarebbe possibile.
Ma Guevara non si limitava a sparare, parlava, anche se inascoltato
(anche a Cuba), per la sua lungimirante riflessione sulla crisi
imminente di quello che si sarebbe arrogantemente proclamato il
«socialismo reale»: una critica da un punto di vista marxista.
Guevara
non era un generico ribelle. Anche se non grande pensatore come Lenin,
Rosa Luxemburg o Trockij, è stato un grande riscopritore del marxismo
critico «senza calco né copia». E non era facile, dopo decenni di
mistificazioni socialdemocratiche e staliniste.

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