Chi paga il prezzo dei nostri gadget hi-tech?

Ne parlavo con Enrico qualche giorno fa; poi avevo trovato l’articolo del Corriere della Sera e pensavo di scriverci qualcosa, perché queste notizie non possono passare sotto silenzio, sono quelle su cui bisogna fermarsi a riflettere. Poi però Enrico mi ha anticipato e… meglio, un po’ di lavoro in meno 🙂 Sicuramente non se la prenderà a male se lo cito integralmente.

I 400mila di Foxcon ed i quaranta centesimi di salario

Ci sono notizie e notizie ma l’assunzione dei 400mila nuovi dipendenti di Foxcon non può passare inosservata.

La grande azienda cinese produttrice di tanti gadget tecnologici come PS3, Xbox 360 e Wii nonchè di tanti di casa Apple si è impietosita dopo i tanti suicidi degli operai stressati dai turni di lavoro straordinari per la produzione di iPad ed anche per questa ragione ha deciso di assumere nuovo personale.

Già, ma quanto?

Mi sono divertito questa estate a domandare ai miei amici quale poteva essere il numero dei nuovi addetti ed uno solo si è avventurato ad ipotizzare qualche migliaio di nuovi assunti non aspettandosi certo la fantastica cifra di 400MILA nuovi operai tecnologici.

I-love-foxconn

Come è possibile? Sicuramente anche al fatto che in tanti distretti industriali cinesi la paga è misera ed in alcuni casi non supera addirittura i40CENTESIMI di euro all’ora.

Se volete prendere maggiormente coscienza di come gira il mondo ed anche il mondo high-tech non potete ignorare questo tipo di notizie.

Enrico Bisenzi

Il nuovo disco di Bonnot. In alto la mia banda!

il manifesto, domenica 29 agosto

Incontro con il producer e dj degli Assalti Frontali al suo debutto con il suo primo progetto solista, il cd «Intergalactic Arena»

di Serena Valietti

Bonnot. Il rap «non rap» indipendente mescola jazz e conservatorio

Un’intro strumentale, due skit, di cui uno è un saluto di Boots Riley dei The Coup. Featuring con pesi massimi dell’old school italiano come Esa. Testi di denuncia firmati dagli Assalti Frontali sullo scratch di Dj Gruff nella traccia In Carovana. L’mc palestinese Boikutt con un pezzo il cui titolo dice tutto, Hal Jathri – la soluzione radicale. E ancora ospiti internazionali del calibro degli statunitensi Dead Prez in Let’s get organized e un featuring con Inoki, uno dei più rispettati rapper dello stivale. Pare un disco rap militante.

E invece Intergalactic Arena, il solo debut di Bonnot, il producer e dj degli Assalti Frontali è qualcosa di più. L’intro Last Night I had a dream lo rivela da subito: la tromba di Paolo Fresu e il sax di Tino Tracanna incontrano un mandolino e un synth. È jazz e sperimentazione estrema. «Intergalactic Arena si apre con questa intro, perché volevo scattare un’istantanea del mio oggi – spiega Bonnot, al secolo Walter Buonanno – Tra i miei progetti in corso non ci sono solo gli Assalti – attualmente al lavoro su un nuovo album previsto per novembre per la manifesto cd -, ma anche Babel, il progetto mio e di Tino, più qualcosa nella classica».

Il jazz torna anche in Storia di un Imprecato, dove Fresu e Tracanna incontrano Caparezza, che fa parlare un emarginato» a cui un gruppo di «ragazzi per gioco dà fuoco nel parcheggio dell’Auchan».

E poi ci sono Esa e Junior Sprea, che in Combatterò l’ignoranza cantano «ci vuole più passione e amore, quando tutti sono contro tutti ha vinto l’oppressore». Oltre a Sprea, reggae è anche Ultimamente, in cui cantano i Sud Sound System, mentre All’ombra dell’ultimo sole è punk targato Piotta e Punkreas. Il singolo Uragano invece è un mix di rap e crossover, con le voci di Nitto dei Linea 77 e Jake La Furia.

http://www.youtube.com/watch?v=J5cRqdZR9Ls

E poi c’è Intergalactical, un pezzo firmato dal re della jungle inglese General Levy e la traccia Slang out my slang, «a cui ho lavorato insieme a Zubz, con cui già ci siamo impegnati per un progetto di sensibilizzazione sull’Hiv. A precedere questa traccia c’è lo skit in cui Don Gallo esorta a usare il preservativo».

Un puzzle sonoro che rivela l’identità di Bonnot: «Al liceo suonavo crossover nei Sovversione, giravamo in tour con i Raw Power, poi c’è stato lo ska di Arpioni e Orobians. E poi la drumnbass, il Conservatorio e il jazz. Anche se possono apparire generi lontani tra loro, sono tutti profondamente legati dall’importanza del contesto in cui nascono e dalla necessità di manifestare il proprio dissenso». Un contesto che in Italia è quello dei centri sociali: «Se penso alle mie influenze, prima ancora di quelle musicali, contano quelle culturali: il Pacì Paciana, il centro sociale di Bergamo. È lì che ho conosciuto i personaggi chiave della mia storia artistica, dalla Banda Bassotti, alle Radici nel Cemento, a Fermin Muguruza. In quei luoghi di passione e militanza, ho imparato a scegliere strade più scomode, pur di restare fedeli a se stessi. Ricordo di esser stato colpito dalle parole del grande direttore d’orchestra Riccardo Chailly. In una sua intervista diceva che questo cercare percorsi complicati e difficili è una delle caratteristiche della grande musica, quella che ti lascia addosso emozioni intensissime. Anche degli Assalti già prima di entrarci ammiravo questa loro coerenza profonda e il coraggio di seguire un percorso scomodissimo, sempre nell’indipendenza, sempre esposti e militanti. Sempre presenti con la faccia e il fisico alle manifestazioni, dalla No F35 di Novara, a No Tav e No Dal Molin, alla Val di Susa. Fare musica in questo modo significa evitare certi canale e avere meno riscontro mediatico, però il senso di quello che facciamo e del messaggio che passiamo è impagabile».

Dell’omicidio di Giorgiana Masi e del suo mandante, Kossiga (boia!)

Giorgiana Masi

Giorgiana Masi
Giorgiana Masi

In questi giorni di lutto bipartisan, come si dice oggi – che in italiano popolare si può comodamente tradurre in “paraculo” – abbiamo sentito, anzi, avete sentito dire quanto era bravo e buono ed illuminato e colto e profondo e potente quel pezzo di merda di Francesco “Boia” Kossiga.

Non servirà a nulla, ma voglio dilettarmi in un delle mie più antiche passioni, e cioè la storia, ed in particolare la storia dei movimenti negli anni ’70.

Una di queste possibili storie è quella di Giorgiana Masi, giovane femminista simpatizzante dei Radicali (allora era possibile, per quanto oggi possa apparire incredibile ad un giovane…), che decise, il 12 maggio 1977, di partecipare ad una manifestazione non autorizzata dal ministro dell’interno, giust’appunto Francesco “Boia” Kossiga. Non autorizzata come tutte le altre possibili nella capitale, dopo la morte dell’agente Passamonti in alcuni scontri di piazza.

Maggio ’77, quindi, in pieno “governo delle astensioni”, monocolore Dc guidato dal mafioso Andreotti Giulio grazie all’astensione in parlamento dei Compagni del Partito Comunista Italiano (a noi!).

Fin dal primo pomeriggio la tensione è molto alta. A quanti difendono il diritto di manifestare con brevi cortei e fortunose barricate, le forze di polizia rispondono sparando candelotti lacrimogeni e colpi di arma da fuoco. Anche numerosi fotografi, giornalisti, passanti e il deputato Mimmo Pinto sono picchiati e maltrattati. Con il passare delle ore la resistenza della piazza si fa più decisa, e vengono lanciate le prime molotov. Mentre nelle strade sono in corso gli scontri, i parlamentari radicali protestano alla Camera contro le aggressioni e le violenze della polizia, fra gli insulti di quasi tutte le forze politiche. Mancano pochi minuti alle 20 quando, durante una carica, due ragazze sono raggiunte da proiettili sparati da Ponte Garibaldi, dove erano attestati poliziotti e carabinieri. Elena Ascione rimane ferita a una gamba. Giorgiana Masi, 19 anni, studentessa del liceo Pasteur, viene centrata alla schiena. Muore durante il trasporto in ospedale”.

(http://www.reti-invisibili.net/giorgianamasi/)

Sono subito chiare le responsabilità delle forze del dis/ordine, polizia in testa – e quindi ministero dell’interno, e subito il clima si intorbidisce grazie a silenzi, omertà e tutta la merda vile e fascista tipica delle istituzioni italiane in quegli anni e non solo.

Tutto ciò non basterà, per fortuna, a fermare la verità storica, ormai appurata grazie a testimonianze dirette, foto e video.

Le chiare responsabilità emerse a carico di polizia, questore, Ministro dell’Interno, porteranno il governo a intessere una fitta trama di omertà e menzogne. Cossiga, dopo aver elogiato il 13 maggio in Parlamento “il grande senso di prudenza e moderazione” delle forze dell’ordine, modificherà più volte la propria versione dei fatti. Costretto dall’evidenza ad ammettere la presenza delle squadre speciali – tra gli uomini in borghese armati furono riconosciuti il commissario Gianni Carnevale e l’agente della squadra mobile Giovanni Santone – continuerà però a negare che la polizia abbia sparato, pur se smentito da vari testimoni e dalle inequivocabili immagini di foto e filmati”.

( http://www.reti-invisibili.net/giorgianamasi/)

Emergono così le vicende delle squadre speciali di Kossiga (boia!), agenti di polizia camuffati da sbirri, che pistole alla mano iniziano a sparacchiare ad altezza d’uomo.

Un video dei radicali sarà ancora più chiaro, con nomi e cognomi e la viva (allora) voce del ministro dell’interno, Francesco “Boia” Kossiga:

Mi fermo, non c’è bisogno di dilungarsi su questa storia, ampiamente e efficacemente  racconta sulla rete, con foto e dovizia di particolari. Mi accontenterò di qualche link.

Lascio con le parole illuminanti del Presidente, come tutti lo chiamano, rilasciate nel 2008 al Quotidiano Nazionale durante le proteste del movimento studentesco dell’Onda:

“Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand’ero ministro dell’Interni. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri. Le forze dell’ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli a sangue e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano. Soprattutto i docenti. Non quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì”.

(http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2008/10/23/%C2%ABvoglio-sentire-il-suono-delle-ambulanze%C2%BB/)

Purtroppo è morto… solo ora, e senza soffrire neanche un minimo di quello che avrebbe meritato.

7 luglio 1960: per non dimenticare i morti di Reggio Emilia

 

La sera del 6 luglio la CGIL reggiana, dopo una lunga riunione (la linea della CGIL era sino a quel momento avversa a manifestazioni politiche) proclama lo sciopero cittadino. La polizia ha proibito gli assembramenti, e le stesse auto del sindacato invitano con gli altoparlanti i manifestanti a non stazionare. Ma l’unico spazio consentito – la Sala Verdi, 600 posti – è troppo piccolo per contenere i 20.000 manifestanti: un gruppo di circa 300 operai delle Officine Meccaniche Reggiane decide quindi di raccogliersi davanti al monumento ai Caduti, cantando canzoni di protesta. Alle 16.45 del pomeriggio una violenta carica di un reparto di 350 celerini al comando del vice-questore Giulio Cafari Panico investe la manifestazione pacifica: "Cominciarono i caroselli degli automezzi della polizia. Ricordo un’autobotte della polizia che in piazza cercava di disperdere la folla con gli idranti", ricorda un testimone, l’allora maestro elementare Antonio Zambonelli. Anche i carabinieri, al comando del tenente colonnello Giudici, partecipano alla carica. Incalzati dalle camionette, dalle bombe a gas, dai getti d’acqua e dai fumogeni, i manifestanti cercano rifugio nel vicino isolato San Rocco, "dove c’era un cantiere, ricorda un protagonista dei fatti, Giuliano Rovacchi. Entrammo e raccogliemmo di tutto, assi di legno, sassi…". "Altri manifestanti, aggiunge Zambonelli, buttavano le seggiole dalle distese dei bar della piazza". Respinti dalla disperata sassaiola dei manifestanti, i celerini impugnano le armi da fuoco e cominciano a sparare: "Teng-teng, si sentiva questo rumore, teng-teng. Erano pallottole, dice Rovacchi, e noi ci ritirammo sotto l’isolato San Rocco. Vidi un poliziotto scendere dall’autobotte, inginocchiarsi e sparare, verso i giardini, ad altezza d’uomo".

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La strada bruciata delle magliette a strisce

di Marco Philopat su Carmilla on line

rivolta a striscie_piccola.jpgSono
passati esattamente cinquant’anni dalla rivolta dei ragazzi in
maglietta a strisce scesi piazza a Genova per impedire un congresso di
neofascisti. Un convegno voluto anche dall’allora governo del
democristiano Tambroni, che da pochi mesi era diventato presidente del
Consiglio grazie ai 14 voti dei parlamentari dell’Msi. La determinazione
dei manifestanti fecero fallire quel tentativo di sdoganare, per la
prima volta dal dopoguerra, gli eredi del tragico ventennio. Quel
convegno fu infatti annullato. Nell’estate del 1960 ci fu un terremoto,
di quelli imprevisti, violento e allo stesso tempo liberatorio. In prima
fila negli scontri di piazza, da Genova a Catania, da Reggio Emilia a
Palermo, da Roma a Bologna, c’erano giovani sui vent’anni, operai figli
di operai che pagarono cara la loro voglia di farsi sentire. La pagarono
con il sangue. In undici rimasero sull’asfalto, crivellati dalle
sventagliate dei mitra e dai colpi di pistola. Altre centinaia finirono
in ospedale o sul banco degli imputati come pericolosi sovversivi e
condannati a scontare anni di carcere. Sapevano di rischiare grosso
eppure scesero in piazza convinti che andasse fatto, che quello era il
loro dovere, l’unico modo per dire no al ripetersi della storia. Per
questo motivo i ragazzi con le magliette a strisce rimasero impresse nel
mio cervello appena ne venni a conoscenza.

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Sergio Bologna: come si fa a difendere la democrazia?

Torna il mio intellettuale preferito (anche perché è l’ultimo che veda all’orizzonte, sarò miope…).

Torna con uno dei suoi soliti testi che vanno letti e riletti qualche volta, per assorbire tutto quello che si portano dietro. Testi che sono da spunto per l’azione antagonista, antisistemica, di quel che resta del Movimento, o forse per rilanciarne uno nuovo, senza i cocci e i reperti del passato (nessuno escluso). Chi lo sa.

Magari partendo proprio da chi ospita questo bel intervento, il movimento dei precari e delle precarie. Cioè noi.

Buona lettura!

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Buon compleanno Cecco Rivolta!

Non ce l’ho fatta ad andare alla festa, è un periodo così, pazienza. Sarà per la prossima 🙂

Ma non pensate che non v’abbia pensato.

Uno dei ricordi più belli della mia militonza.

Auguri Cecco! 🙂

La rivista “Primo Maggio” è on-line

La casa editrice DeriveApprodi ha da poco pubblicato un testo fondamentale per chiunque abbia ancora voglia di mettere seriamente in discussione lo stato di cose presenti. Questo testo è, a cura di Cesare Bermani e La rivista Primo Maggio (1973 – 1979), pag. 176 per 20 €.

Fondamentale, questa pubblicazione, sia per i bei interventi ivi contenuti – che ci raccontano e ci spiegano la nascita, lo sviluppo e le tante particolarità di questa fondamentale rivista – ma anche e soprattutto perché nel dvd allegato si trovano tutte le annate (tutte) della rivista, più altro materiale.

Un testo sicuramente più che consigliato, ma se proprio non vi fidate, allo potete andare a sfogliare il contenuto del dvd che è stato messo on-line. Non dalla casa editrice, che si sà, i Compagni non condividono i saperi e le loro cose sono strettamente sotto copyright – e guai a provare a metterlo in discussione! –  ma da colui o colei o coloro che hano messo su – lode ad essi! – il sito http://www.autistici.org/operaismo. 

Costoro comprano (o rubano, non lo so) i testi di DeriveApprodi, estraggono il contenuto del dvd e lo pubblicano sul sito di cui sopra. Lo stesso hanno fatto col dvd allegato al libro in questione e lo hanno schiaffato qui:

http://www.autistici.org/operaismo/PrimoMaggio/

Buona lettura! 😀