Il cuore eretico di Milano

di Marco Philopat, pubblicato su il manifesto del 29 gennaio 2009.

Dalla banda Bonnot ai punk, la vita e i libri di
Primo Moroni sono stati punto di riferimento e stimolo per i movimenti
antagonisti milanesi e non solo. La battaglia per il suo Conchetta
cambia la geografia della città e scuote la sinistra

Avevomeno di vent’anni quando entrai per la prima volta nella libreria
Calusca. Abitavo in un quartiere periferico di Milano e il sangue mi
bolliva di rabbia urbana.

Un po’ titubante e molto presuntuoso, volevo
chiedere se accettavano in contovendita le mie punkzine. Il tipo che mi
accolse dietro a una scrivania incasinata era Primo Moroni e
assomigliava vagamente a Ho Chi Minh, intorno a lui un poster con il
viso di Che Guevara e una marea di libri dalla copertina rossa. Non mi
fidavo, beato nella mia ignoranza pensavo che l’ambiente fosse troppo
comunista per i miei gusti anarcopunk. Alle sue spalle, mentre stava
consultando la mia rivistina fotocopiata, avevo intravisto una strana
maxifoto dei primi del Novecento che ritraeva quattro personaggi
vestiti di nero, un po’ burberi, un po’ stracciati, ma anche molto
grintosi. All’istante gli chiesi provocatoriamente: «Ma quelli sono dei
punk?» e lui sorridendo mi rispose: «Certo», poi si alzò e cercando tra
le pile di libri mi tirò fuori La banda Bonnot di Thomas Bernhard.
«Eccolo! Te lo regalo, così conoscerai la storia dei tipi della foto».
Lo divorai in una notte e pensai che era vero, quelli della banda
Bonnot erano proprio dei punk.

Riottosi, anarco-banditi e vegetariani.
Da allora non mi feci più sfuggire l’occasione di andare da Primo per
ascoltarlo, avevo compreso l’importanza della carta stampata per
indirizzare i miei bollori in una direzione meno no future.

Nel corso
degli anni passai tante giornate dentro la Calusca e capii che a Primo
bastava uno sguardo per proporre il libro giusto a ogni persona che si
affacciava per la prima volta in negozio. Con quelli più giovani e
arrabbiati non sbagliava mai un colpo… La mia formazione è
interamente costruita attorno a quei suoi consigli di lettura e alle
persone che incontravo lì dentro.

Nel gennaio del 1998, quasi vent’anni
dopo, andai a trovare Primo all’ospedale. La morte lo aspettava dietro
l’angolo. Aveva letto il mio libro di esordio appena pubblicato,
Costretti a sanguinare, e mi parlò de Il giovane Holden scritto da
Salinger, il cui titolo originale è The Catcher in the Rye che
letteralmente significa «il guardiano nel campo di segale». Nel
romanzo, quando la sorella minore del protagonista gli chiede cosa mai
vorrà fare da grande, lui risponde con questa frase. Il «catcher in the
rye» è colui che salva i bambini, afferrandoli un attimo prima che
cadano nel burrone, mentre giocano in un campo di segale. Fu quello
l’ultimo spunto che Primo mi volle regalare. A vent’anni da La Banda
Bonnot, mi svelava quale fosse il senso più profondo della sua idea di
cultura. Un’indicazione, uno stile di vita che ora è incarnato nel
centro sociale Cox 18.

Racconto questa storia autobiografica perché,
come capirete, è stata fondamentale per il mio percorso professionale e
militante, ma è anche un episodio esemplare per altre centinaia e
centinaia di compagni e compagne. Donne, tante donne che hanno talmente
amato l’affascinate libraio da dimostrarlo con forza anche sabato
scorso, prendendo, incordonate su tre file, la testa del corteo per le
tre ore della manifestazione. Davvero splendide.

Primo Moroni lo
rimpiangono i movimenti antagonisti di tutta Italia, quella sua
indecifrabile capacità di essere stratega del conflitto e delle
mediazioni. Quella tensione nel mettere il mondo della cultura davanti
alle sue responsabilità, quasi costringendo artisti e intellettuali a
prendere una posizione precisa. Con mille citazioni raccattate dal suo
incredibile vissuto o da qualche libro nascosto in chissà quale angolo
della libreria, riusciva ad affabulare l’interlocutore più moderato
convincendolo a restare dalla parte degli sfruttati, sempre. Il giorno
del suo funerale Oreste del Buono scrisse: «Era un turbatore della
quiete ingiusta che ha avuto il merito di avvicinare alla cultura
tantissimi che la rifuggivano». Una cultura eretica di estrema
sinistra, l’unica in grado, a mio parere, di trovare percorsi di lotta
unitari nelle nostre metropoli, dove la rabbia di giovani e meno
giovani cresce sottotraccia alla vigilia della grande recessione, con
il diminuire del lavoro e l’evaporare della politica tradizionale.

I
10.000 di sabato scorso, scesi in piazza a 48 ore dallo sgombero, hanno
cambiato i rapporti di forza in città. La solidarietà dei milanesi è
molto vasta, a partire dai numerosi striscioni pro-Conchetta apparsi
sui balconi del Ticinese, dalle migliaia di firme al nostro appello, e
dai tanti commenti indignati contro i brutali articoli on-line delle
testate cittadine. La Moratti ammicca il dialogo e De Corato rischia la
carriera politica. Il vicesindaco farebbe bene a restituirci subito Cox
18 e inventarsi un’altra emergenza, magari non sui soliti rom, arabi,
prostitute o quant’altro, deve far dimenticare in fretta la campagna
agit-prop che lo vede come un nazista intento a bruciare libri, oppure
che imprigiona la sua faccia nel divieto ecopass con la dicitura: «Zona
a pensiero limitato».

Poi rimane il fatto che lo sgombero è stato
completamente illegale: gli avvocati di Cox 18 hanno cercato invano in
tutto il tribunale un pezzo di carta straccia che lo autorizzasse.
Niente… Non hanno trovato niente. Prima dei lanci di scarpe e degli
oceanici «buuuuh» a Capitol Hill, i nostri amministratori dovrebbero
farci rientrare domani, fare finta di niente, parlare d’altro,
insabbiare la cosa. Cox 18 rientrerebbe appendendo, al già blasonato
muro della sua storia resistente, un’altra coccarda di un’altra
battaglia vinta. La risposta alla Moratti è quella ben espressa dai
famigliari di Primo in cox18.noblogs.org, tuttavia allego volentieri
quella di un cittadino qualunque che scrive un ironico commento in
rete, credo condiviso da parecchi milanesi:

«Ho ascoltato il tg di
oggi, sembra che la nostra sindachessa si sia offerta di salvare, non
si sa come e quando e dove, l’archivio di Primo Moroni… Ahiaiai!!
Come al solito prima il bastone e poi la carota! Cara Letizia, i tuoi
scagnozzi, (de Corato & Co.) l’hanno fatta grossa, vero? La città e
Conchetta non demordono e allora voilà! Con la bacchetta magica Fata
Letizia farà in modo che l’archivio del centro sarà salvato! Ma non ci
basta cara, lasciaci vivere quel poco che c’è di bello nella nostra
città…».

«Cox 18, il fiore all’occhiello di Milano», si leggeva su un
cartello esposto al corteo, il luogo di scambio e incontro tra cultura
alta e quella espressa dai ghetti, unico nella sua composizione,
dall’ultras al docente universitario, dal mattacchione dei navigli allo
scienziato della tastiera. Inutile spiegare cosa c’era dentro e cosa si
è vissuto in quello spazio durante 32 anni, basta osservare l’esterno
per rimanere meravigliati, quel gigantesco murales bianco e rosso è un
vero flash per smogville , l’ha realizzato qualche mese fa Blu, uno dei
più importanti esponenti di arte da strada a livello internazionale, e
ora è deturpato dalle lastre di metallo del sigillo poliziesco. Ben
altro danno rispetto a un cassonetto bruciato. Tuttavia sono i libri
dell’archivio il punto in cui deve far perno la lotta. «Quei libri sono
la nostra storia» era uno degli slogan urlati in corteo, volumi che
rappresentano la memoria del Ticinese, «il triangolo dei destini
incrociati», memoria dell’intera città, memoria, presente e futuro dei
movimenti operai e controculturali mondiali, dalla dicitura
ferlinghettiana «City Lights» all’ultimo libro pubblicato
dell’Archivio, quello sui Wheathermen scritto dall’amico di Obama, Bill
Ayers, dalla copia firmata del primo libro di Bruce Sterling al
saggio-inchiesta Cuori Rossi di Cristiano Armati.

La battaglia per i
libri di Primo deve diventare una battaglia di tutto il movimento
antagonista italiano, quello vero, quello non legato alla conquista del
potere o del portafoglio, un movimento costituito da coloro che con
anima e corpo si mettono a completa disposizione delle lotte di
lavoratori, diseredati e delle minoranze, proprio come faceva Moroni
aprendo giornalmente la Calusca.

Mobilitiamoci tutti insieme nella
difesa di Cox 18 e della nostra stessa storia.