il manifesto, domenica 29 agosto
Incontro con il producer e dj degli Assalti Frontali al suo debutto con il suo primo progetto solista, il cd «Intergalactic Arena»
di Serena Valietti
Bonnot. Il rap «non rap» indipendente mescola jazz e conservatorio
Un’intro strumentale, due skit, di cui uno è un saluto di Boots Riley dei The Coup. Featuring con pesi massimi dell’old school italiano come Esa. Testi di denuncia firmati dagli Assalti Frontali sullo scratch di Dj Gruff nella traccia In Carovana. L’mc palestinese Boikutt con un pezzo il cui titolo dice tutto, Hal Jathri – la soluzione radicale. E ancora ospiti internazionali del calibro degli statunitensi Dead Prez in Let’s get organized e un featuring con Inoki, uno dei più rispettati rapper dello stivale. Pare un disco rap militante.
E invece Intergalactic Arena, il solo debut di Bonnot, il producer e dj degli Assalti Frontali è qualcosa di più. L’intro Last Night I had a dream lo rivela da subito: la tromba di Paolo Fresu e il sax di Tino Tracanna incontrano un mandolino e un synth. È jazz e sperimentazione estrema. «Intergalactic Arena si apre con questa intro, perché volevo scattare un’istantanea del mio oggi – spiega Bonnot, al secolo Walter Buonanno – Tra i miei progetti in corso non ci sono solo gli Assalti – attualmente al lavoro su un nuovo album previsto per novembre per la manifesto cd -, ma anche Babel, il progetto mio e di Tino, più qualcosa nella classica».
Il jazz torna anche in Storia di un Imprecato, dove Fresu e Tracanna incontrano Caparezza, che fa parlare un emarginato» a cui un gruppo di «ragazzi per gioco dà fuoco nel parcheggio dell’Auchan».
E poi ci sono Esa e Junior Sprea, che in Combatterò l’ignoranza cantano «ci vuole più passione e amore, quando tutti sono contro tutti ha vinto l’oppressore». Oltre a Sprea, reggae è anche Ultimamente, in cui cantano i Sud Sound System, mentre All’ombra dell’ultimo sole è punk targato Piotta e Punkreas. Il singolo Uragano invece è un mix di rap e crossover, con le voci di Nitto dei Linea 77 e Jake La Furia.
http://www.youtube.com/watch?v=J5cRqdZR9Ls
E poi c’è Intergalactical, un pezzo firmato dal re della jungle inglese General Levy e la traccia Slang out my slang, «a cui ho lavorato insieme a Zubz, con cui già ci siamo impegnati per un progetto di sensibilizzazione sull’Hiv. A precedere questa traccia c’è lo skit in cui Don Gallo esorta a usare il preservativo».
Un puzzle sonoro che rivela l’identità di Bonnot: «Al liceo suonavo crossover nei Sovversione, giravamo in tour con i Raw Power, poi c’è stato lo ska di Arpioni e Orobians. E poi la drumnbass, il Conservatorio e il jazz. Anche se possono apparire generi lontani tra loro, sono tutti profondamente legati dall’importanza del contesto in cui nascono e dalla necessità di manifestare il proprio dissenso». Un contesto che in Italia è quello dei centri sociali: «Se penso alle mie influenze, prima ancora di quelle musicali, contano quelle culturali: il Pacì Paciana, il centro sociale di Bergamo. È lì che ho conosciuto i personaggi chiave della mia storia artistica, dalla Banda Bassotti, alle Radici nel Cemento, a Fermin Muguruza. In quei luoghi di passione e militanza, ho imparato a scegliere strade più scomode, pur di restare fedeli a se stessi. Ricordo di esser stato colpito dalle parole del grande direttore d’orchestra Riccardo Chailly. In una sua intervista diceva che questo cercare percorsi complicati e difficili è una delle caratteristiche della grande musica, quella che ti lascia addosso emozioni intensissime. Anche degli Assalti già prima di entrarci ammiravo questa loro coerenza profonda e il coraggio di seguire un percorso scomodissimo, sempre nell’indipendenza, sempre esposti e militanti. Sempre presenti con la faccia e il fisico alle manifestazioni, dalla No F35 di Novara, a No Tav e No Dal Molin, alla Val di Susa. Fare musica in questo modo significa evitare certi canale e avere meno riscontro mediatico, però il senso di quello che facciamo e del messaggio che passiamo è impagabile».