La violenza

 

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Back bloc

Il 15 ottobre qualche centinaio di ragazzi ha fatto per ore scontri con la polizia a Roma. Hanno rovinato la manifestazione di qualche centinaio di migliaia di persone che, invece, volevano protestare pacificamente.

Hanno, probabilmente, rovinato il giochino tutto politicistico del gruppetto di leaderini di “movimento” che con il corteo di sabato volevano incassare laute prebende alle prossime erezioni bolittiche nazionali.

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Ma questa cos’è?

in piena crisi mondiale – una crisi creata e foraggiata dalla “finanza internazionale” (leggi “le banche”), quando milioni di persone rischiano di finire in povertà, dove decine, centinaia di milioni di persone non sanno nulla del proprio futuro e di quello dei propri figli; dove l’unica ricetta possibile ed immaginabile è tagliare tutto, ad iniziare dallo stato sociale a qualsivoglia garanzia sociale, il Congresso americano cosa ti scopre?

La FED avrebbe elargito (leggasi: prestato a tasso dello 0% = regalato) aiuti a grandi istituti finanziari e società varie, sia negli Stati Uniti che nel resto del mondo, per un ammontare di 16.000 miliardi di dollari.

Alla prima verifica contabile fatta sui conti della Federal Reserve la GAO Audit (Government Accountability Office) ha scoperto qualcosa che ai contribuenti americani di sicuro non farà piacere sapere.
La FED, che attraverso i suoi portavoce propone piani di austerità e proclama sacrifici per i contribuenti, aiuta invece con carrellate di denaro le banche, assicurazioni e società, anche fuori dal territorio americano.
Il senatore Sanders ha deciso di sputtanare la cosa (per la rabbia di Bernanke e Greenspan) sul suo sito, dicendo che tra il 2007-2010 la FED ha regalato 16 trilioni di dollari (vedasi voce di bilancio “Programma onnicomprensivo di prestiti“) a banche “amiche”, senza informare nemmeno il Congresso americano.
Qui di seguito troviamo elencati i maggiori “beneficiari” (elenco completo in questa relazione):
Citigroup: $2.5 trillion ($2,500,000,000,000)
Morgan Stanley: $2.04 trillion ($2,040,000,000,000)
Merrill Lynch: $1.949 trillion ($1,949,000,000,000)
Bank of America: $1.344 trillion ($1,344,000,000,000)
Barclays PLC (United Kingdom): $868 billion ($868,000,000,000)
Bear Sterns: $853 billion ($853,000,000,000)
Goldman Sachs: $814 billion ($814,000,000,000)
Royal Bank of Scotland (UK): $541 billion ($541,000,000,000)
JP Morgan Chase: $391 billion ($391,000,000,000)
Deutsche Bank (Germany): $354 billion ($354,000,000,000)


UBS (Switzerland): $287 billion ($287,000,000,000)
Credit Suisse (Switzerland): $262 billion ($262,000,000,000)
Lehman Brothers: $183 billion ($183,000,000,000)
Bank of Scotland (United Kingdom): $181 billion ($181,000,000,000)
BNP Paribas (France): $175 billion ($175,000,000,000)

Il senatore (indipendente) Sanders ha dichiarato: “I risultati dello studio ci dicono che la Federal Reserve ha elargito più di $16.000 miliardi in aiuti ai più grandi istituti finanziari e alle più grandi società negli Stati Uniti e nel mondo”; “questo è un chiaro caso di socialismo per i ricchi e un amaro individualismo <<siete in mano a voi stessi>> per tutti gli altri”.
E siccome la FED ha fornito aiuti finanziari anche a banche e società straniere, dalla Corea del Sud alla Scozia, ha aggiunto Sanders: “Nessun istituto degli Stati Uniti dovrebbe avere l’autorità di salvare una banca straniera o una società senza l’approvazione del Congresso e del Presidente.”
Questo “scoop” dimostra ancora una volta come coloro che controllano la finanza (banchieri, speculatori, manager) comandano sulla politica e sull’economia reale.

Sedici mila miliardi di dollari regalati a banche e società private, mentre noi si fatica ad arrivare alla fine del mese, mentre milioni sono disoccupati, senza casa, senza cibo, senza futuro.
Ma la violenza è quella del ragazzino scemo che spacca la vetrina.

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Luglio 2001: io ricordo Genova

Immagini da Genova 2001
Normale repressione a Genova nel 2001

In questi giorni di 10 anni fa ragionavo se andare a Genova o no. La questione non era semplice, perché già sapevo che la stragrande maggioranza dei miei compagni andavano; alcuni c’erano già, a s/battersi per riuscire a strappare quello che poi diventerà il media center dalle mani dei burocrati di tutte le razze e farne quel che poi è stato: uno spazio aperto e di condivisione, libero politicamente ma anche tecnicamente, visto che già allora c’erano pc con solo GNU/Linux installato.

Ci sarebbe andata la mia compagna, e tanti amici.

Ma io non volevo andarci, ero contrario politicamente al trappolone di Genova: in molti, se non tutti, già si sapeva che sarebbe stato un trappolone; nessuno si immaginava, però, il livello di violenza espressa dallo stato; e infatti con questi si tentò di proporre un’alternativa:

TURNOFF G8: Tutti a Varazze!

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L’eredità di Vittorio

Una foto di Vittorio Arrigoni
Vik

 

Vittorio Arrigoni, Vik, @vikutopia è stato assassinato ieri a Gaza.

Non conoscevo Vik, se non attraverso i suoi post su guerrillaradio, i suoi tweet e il suo profilo su Facebook. Ma nonostante tutto, quando ho saputo della sua morte, e per tutto il giorno, l’angoscia e la tristezza che ho provato è stata la stessa che si prova per la morte di un fratello, di un amico, di qualcuno con cui condividi, anche se da lontano, un percorso molto simile.

Vittorio conduceva a Gaza un lavoro così prezioso che solo ora, con la sua mancanza, si riuscirà a comprendere fino in fondo. Lui è riuscito, grazie alla sua intelligenza, alla sua onestà e alla sua umanità, a comunicare dalla Palestina, da dentro Gaza, quelle notizie che altrimenti i media mainstream non sarebbero mai riusciti a darci, anche se l’avessero voluto.

Leggo oggi sul Manifesto l’articolo di Manolo in ricordo di Vittorio; parole di dolore per la perdita di un fratello, ma anche parole consapevoli di quel che non c’è più, di prezioso e fondamentale, per la lotta del popolo Palestinese: una voce che rompesse l’embargo internazionale, che riuscisse a comunicare fuori quel che veramente sta succedendo in Palestina, ed a Gaza in particolare.

Le armi di Vittorio erano il suo computer, la sua telecamerina, la sua voce, la sua sensibilità, la sua intelligenza vivace, il suo corpo.

L’utilizzo che ne faceva lo rendevano il prototipo di mediattivista. Un umano comunicante, un pazzo di giustizia, di libertà. Instancabile nella sua continua opera di tessitura sociale. Una persona capace di riverberare i sentimenti di un popolo intero, rendendoli comprensibili a chi a quel popolo era estraneo […]. Non era un giornalista, e nemmeno ci teneva ad esserlo. Era quel raro esempio di essere umano che impugna le sue armi convenzionali per combattere una battaglia non violenta, anche per questo più efficace.

In queste righe Manolo descrive perfettamente non solo la meraviglia dell’uomo Arrigoni; descrive anche, perfettamente, uno “strumento” efficacissimo di comunicazione politica, di in/formazione, che oggi è possibile a tutt@, grazie atecnologie che abbiamo a disposizione, e che ci permette, se decidiamo di impugnarli, di bypassare l’informazione mainstream, per nulla interessata a dirci cosa succede effettivamente nel mondo.

Nessuno di noi può pensare di sostituire Vik, e non penso che a nessuno gli sia manco passato per l’anticamera del cervello. Ma dobbiamo trovare il modo, tutti noi che abbiamo a cuore la lotta del popolo palestinese – ma anche quello del popolo sahrawi, libico, egiziano, chapaneco, birmano, cinese, e quindi di tutto il mondo – dobbiamo trovare il modo di non sprecare il lavoro, l’insegnamento, il testimone che Vik ci ha lasciato.

Se non vogliamo che la sua morte sia una delle tante, se non vogliamo che sia solo retorica il nostro pianto, se vogliamo che veramente la morte di un Partigiano significhi la nascita di altri cento, allora dobbiamo prenderci sulle spalle – collettivamente – la sua eredità.

Dice ancora Manolo:

Con la sua scomparsa si apre una voragine che contribuisce a ripristinare la cappa di indifferenza che aleggia sulla Striscia di Gaza, martoriata da anni di assedio e di menzogne. E’ impossibile colmare quel vuoto, ma farlo diventa subito una responsabilità collettiva. La sua morte è il suo estremo richiamo a restare umani. E per farlo ci vogliono gesti.

Il nostro compito, collettivo.

Restiamo umani.

London Calling!

 

Logo della manifestazione "March For The Alternative" del 26 marzo 2011 a Londra
March For The Alternative

Non potevo non riportare per intero questo maginifico articolo di Federico Campagna, uscito sul sito di Alfabeta 2. Non c’è nulla da dire di più, penso. Solo sperare che se questa crisi, questi tagli, questa situazione ha smosso la sonnacchiosa Albione, forse c’è qualche speranza pure qui da noi…

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E noi si sta a guardare

La classe dirigente
La classe dirigente

Sono un po’ di mesi che sul globo terracqueo succedono delle cose. Cose che, probabilmente, fra qualche anno i nostri figli o nipoti studieranno sui libri di storia: la crisi economica che ha spazzato via lo stato sociale novecentesco – così come la caduta del muro di Berlino spazzò via il “Comunismo” (e chi non vede il legame tra i due avvenimenti, peste lo colga); il rischio di fallimento di alcuni stati europei, indebitati con quelle banche che sono state la causa principale della crisi di cui sopra, ma che sono state le uniche organizzazioni non solo a non subirne gli effetti – a subirli in maniera marginale – ma anche ad essere state lautamente salvate col denaro pubblico; il ritorno delle rivolte per il pane, soprattutto nei paesi più poveri; il ritorno, pure, della “rivoluzione”, parola tabù del nuovo millennio. Ritornata non in Occidente, bensì in nord Africa, presso quegli stati “islamici” che noi eurocentrici ci immaginavamo culturalmente inesistenti e politicamente bloccati da un radicalismo religioso semi terroristico. Tutto questo in un quadro di guerra internazionale ormai continua, con gli USA che cercano di mantenere – con la forza delle armi – quel poco di dominio mondiale che gli è rimasto, e la Cina che se lo conquista con un’economia – schiavista – che cresce a ritmi inimmaginabili da noi.

Da noi, intanto, siamo in pieno revival da basso Impero, con Presidente del Consiglio che ormai si occupa esclusivamente a salvarsi il culo (flaccido, pare), buttando in malora quel poco di “democratico” che è rimasto del nostro Stato, in un conflitto aperto e perenne tra le istituzioni – esecutivo contro magistratura; presidenza della repubblica contro esecutivo; magistratura con magistratura; ministri contro funzionari pubblici; Stato e Mafia (ma dov’è la differenza?) contro cittadini – e parte del paese che ormai è seriamente intenzionata a scollarsi di dosso la sua parte di responsabilità per il benessere collettivo, in un rigurgito xenofobo ed individualista che dovrebbe far paura, se ci fosse ancora qualcuno in grado di percepire queste cose.

In questo marasma tragicomico – sempre più tragico e sempre meno comico – il meglio che la Sinistra riesce a proporre è la retorica d’antan di Nichi Vendola, che cerca di battere Berlusconi con le sue armi: il personalismo e le vuote chiacchiere che dovrebbero far leva non si sa bene su cosa, vista la situazione politico – culturale generale scaturita da 15 – 20 anni di lavaggio del cervello mediatico a tutto tondo. Chi, come me, è appassionato di letteratura cyberpunk – l’unica veramente realista degli ultimi anni, assieme a qualcosa del postmoderno – e di Neal Stephenson in particolare, si sentirà assolutamente a casa, in quesata situazione. Purtroppo.

Ma “noi”, che fine abbiamo fatto? Dov’è finita l’intelligenza collettiva che portò in Italia gli aspetti più innovativi della rete quando ancora nel nostro paese il massimo ri/conosciuto a livello collettivo era il Fax? Dove sono finiti quegli intellettuali scalzi che riuscivano ad annusare le novità culturali, politiche, tecnologiche e sapevano poi riproporle rinnovate, radicalizzate, sul nostro triste scenario?

Dall’alto del mio eremo montano – ecco perché alto – non vedo più che nebbia. La lontananza rende tutto più piccolo, la soppravivenza mi toglie tempo ed energia, ed al massimo riesco a scorgere, o penso di scorgere, i tratti generali delle dinamiche – la tendenza, si diceva pomposamene una volta – senza più la capacità di percepire il dettaglio e di metterlo a frutto.

Se qualcosa riesco ad immaginare, di un futuro che percepisco sempre più fosco, è un ritorno ad un collettivismo della sopravvivenza – Società di Mutuo Soccorso, Cooperative di Consumo, Società Operaie – in un tentativo di recuperare socialità dalla necessità, sperando – sognando? – che questo aiuti a riconnettere esperienze, a riprodurre composizione dove ormai domina l’individualità, il timore, il sospetto.

Una fatica improba, che spesso si rifugge per stanchezza e delusione, per pigrizia ed incapacità. Ci si contenta a tirare avanti, si schiva il disastro, quando ci si riesce, e ci si racconta che, comunque, siamo sempre Compagni, perché ritwittiamo le notizie di chi la Rivoluzione la sta facendo per davvero.

Ed ora vado a tagliare la legna.

I padri ingannevoli

Piccolo quiz di inizio anno: di chi sono queste parole?

“Giovani, combattete sempre per la libertà, per la pace, per la giustizia sociale. La libertà senza giustizia sociale non è che una conquista fragile, che per alcuni si risolve semplicemente nella libertà di morire di fame. Libertà e giustizia sociale sono un binomio inscindibile. Lottate con fermezza, giovani che mi ascoltate, e lo dico senza presunzione, ma come un compagno di strada, tanto mi sta a cuore la vostra sorte. Io starò sempre al vostro fianco”.

La soluzione completa la trovate a quest’indirizzo. È il discorso di Capodanno del Presidente della Repubblica. Del 1983, era Pertini. Fa impressione, eh?

Fonte: minima & moralia

10-100-1000 Pomigliano/Mirafiori

Schiavi in mano, foto
Schiavi in mano

E’ di questi ultimi mesi la rottura interna alla trimurti sindacale – Cgil, Cisl e Uil – in particolar modo in ambito metalmeccanico, con la Fiom – che  di tutte è forse l’unica entità confederale con dei veri iscritti, cioè con dei lavoratori che vedono (vai a sapere perché, ma questo è un altro discorso…) nel loro sindacato uno strumento per migliorare le loro condizioni di lavoro – che si trova isolata dagli altri sindacati di categoria, ormai diventati niente più che dei sindacati gialli.

http://www.youtube.com/watch?v=U9RW7DmJTMQ

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T. A. Z.

Hakim Bey
Hakim Bey

Dopo tanti anni ho ripreso in mano il bel libro del grande Hakim Bey, T. A. Z., pubblicato nell’ormai lontano 1993 per i tipi della Shake. Un libro che per me fu una delle grandi svolte intellettuali (si fa per dire …) della mia vita: ero nel periodo di transizione dall’autonomo leoncavallino duro e puro (anche qui, si fa per dire …), verso … boh, qualcosa che oggi definirei libertario. Un percorso lungo, che non è ancora finito (per fortuna …), che mi ha portato a rivedere tante cose, quasi tutte quelle fondanti, dal punto di vista dell’identità, rispetto al periodo precedente: il definirsi comunista, avere nell’organizzazione (non nel partito, giammai, che da noi il partito E’ il PCI, ed un autonomo ha proprio il PCI come uno dei principali nemici… e viceversa, ovviamente! Poi con gli anni mi accorsi che dire organizzazione e dire partito era sostanzialmente parlare della stessa cosa usando etichette diverse) il centro della propria attività, vedere nella rivoluzione russa l’inizio di un ciclo di lotte vincenti… e tante altre…

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Una nuova generazione: famose da parte, please

Banksy - Rickshaw
Banksy - Rickshaw

Partiamo da una data, per comodità: settembre 2008, scoppia la Crisi, con la C maiuscola. E’ una crisi finanziaria, cioè causata dalle speculazioni finanziarie, dalla globalizzazione della finanza, dalla trasformazione della produzione che è diventata sempre più cognitiva – dicono quelli che ci capiscono – ma che è diventata sempre più altrove e non da noi: in Cina, India –  in condizioni di vita che da noi erano già contestate nell’800 – in America del Sud. Una crisi finanziaria che mette in crisi il sistema bancario, immediatamente salvato con botte di centinaia di milioni di euro e di dollari.

Presi da dove, ‘sti soldi? Dallo stato sociale, ma naturalmente! E quindi giù tagli verticali, come ama definirli il nostro amato – ed amatissimo in Europa – ministro Tremonti, già candidato a sostituire il fava del Berlusca. Tagli che vanno a toccare tutti i ceti meno abbienti, e pure il ceto medio, tanto che proprio oggi esce la notizia che

il quarantacinque per cento della ricchezza italiana è in mano al 10 per cento delle famiglie. Lo segnala Bankitalia nel supplemento al bollettino statistico dedicato alla ricchezza delle famiglie alla fine del 2008. Al contrario, il portafoglio della metà più povera degli italiani non arriva ad avere neppure il 10 per cento della ricchezza complessiva. Insomma, la forbice si allarga e lo Stivale fa i conti con poche famiglie ricchissime e molti italiani che tirano a campare.

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