Mi sono preso qualche tempo dalla morte del lavoro, dal tritatutto della quotidianità, e provo a ragionare, confusa/mente, su quel che sta capitando ultimamente in questo cazzo di paese di merda.
Storiciziamo, come si diceva una volta, così da non perdere la prospettiva:
la crisi della "sinistra" inizia almeno nel 1993, con la svendita da parte sindacale di qualsiasi possibile battaglia salariale in nome della crisi, dell’Europa e bla bla bla (per questo vedi il bellissimo, recentissimo, importantissimo e, come sempre, illuminatissimo libro di Sergio Bologna, Ceti medi senza futuro?, DerivaApprodi). Quell’anno la trimurti sindacale decise di vendere i lavoratori in nome del paese, avendo in cambio la promessa che i padroni avrebbero investito in formazione e in tecnologia. Il risultato è stato che ora il paese è allo sfascio, l’economia è a pezzi, che siamo passati da essere il settimo paese industriale del mondo sia finiti dodicesimi o peggio (ci stava superando anche la Grecia, prima della crisi globbale).
Sticazzi, ovviamente, essere settimi o tredicesimi è fuffa neoliberista. Ma da modo di vedere come hanno lavorato i signori cialtroni nostri padroni in questi 16 anni di neoliberismo incontrollato e generalizzato, senza opposizione parlamentare reale, con quel poco di opposizione politico-sociale che ancora resisteva, e che è stata rasa al suolo nel 2001 a Genova e nel 2002 – 2008 dal suicidio di quel che rimaneva della "sinistra".
Ma partire dal 1993, a mio avviso, è limitante, perché non rende bene l’idea della profondità della morte della "sinistra", che ha radici ben più vecchie. Come raccontava sempre il buon vecchio Primo Moroni, la "vera" crisi della "sinistra" inizia nel 1979, quando l’ultima generazione operaia in rivolta entra in Fiat, a Torino, e dopo poco l’occupa. Si, l’occupa, occupa Mirafiori, come nel 1973. Ma a differenza di allora il PCI e la Cigl non sono più avversari con cui discutere, anche pesantemente, ma pur sempre su un solco comune; nel 1979 PCI e Cigl denunciano alla magistratura 61 quadri del movimento interno all’occupazione e alle lotte della Fiat, che vengono arrestati come terroristi (e dopo lunghi mesi se non anni di carcere preventivo, verranno liberati e la maggior parte di loro assolti. Una storia su tutte è quella di Ines Arciuolo, raccontata nel suo bellissimo A casa non ci torno, Stampa Alternativa). Quando l’anno dopo il peggior segretario del PCI del dopo guerra (Moroni docet), Berlinguer, si presenta ai cancelli della Fiat nel corso dei famosi 35 giorni è ormai troppo tardi: il ramo è stato segato, ma a venir già non sono solo i movimenti, ma la "sinistra" tutta, che ci stava seduta tutta. Da lì fu il diluvio: migliaia di licenziati (e chi firmò l’accordo poi, ovviamente, ha fatto carriera ed è diventato ministro nell’ultimo governo Prodi, insieme ad uno dei licenziati, pure lui ministro e segretario di uno dei tanti partitini comunistini che affollano il nulla di questi mesi), suicidi (146 casi nei primissimi mesi dopo il crollo del 1980, Cfr. G.Polo, M.Revelli,
Fiat: i relegati di reparto, Erre emme edizioni, Roma, 1992) e poi repressione, leggi speciali, carcere, una generazione rasa al suolo, etc etc.
Tra l’80 e il ’93, passando per la storica sconfitta del referendum per la scala mobile del 1985, la "sinistra", quello che ne rimane, smette di essere tale, si libera piano piano delle pastoie tipiche del "partito di massa", fatte di democrazia, circoli, sezioni, case del popolo, radicamento territoriale, per avviarsi a quello che poi sarà la svolta della Bolognina, con la morte del PCI e la nascita del PDS (Ds – Pd – Boh!), ma soprattutto con la nascita della categoria di "partito leggero" (Mussi docet). Fu allora, sempre nel 1993, che si tenne il referendum, voluto e sostenuto dal PDS dei vari D’Alema, Weltroni, Fassino, Mussi, Bersani etc etc, per introdurre il maggioritario nel sistema elettorale e, soprattutto, per fare dei sindaci dei veri e propri gerarchi, dismettendo di fatto quel po’ di democrazia che ancora vigeva tra eletti ed elettori.
1979 – 1993, la dismissione;
1994 – 2008, il consolidamento ;
2008 – ?, il nuovo fascismo.
Che effetti hanno avuto sulla società italiana almeno 16 anni (ma in realtà 30) di democrazia televisiva?
Una società che in questi 30anni è stata deteritorializzata, atomizzata (espulsione di gran parte dei cittadini dalle città verso gli immensi e
disumani hinterland, fatti di condomini alveare dove l’unica forma di
tempo libero concessa è la televisione), piallata intellettualmente con il nulla televisivo (tutto in mano ad un uomo solo, e tutto quello che non era in sintonia col Capo veniva espulso) senza che ci fosse la minima possibilità di avere, vedere, provare un’alternativa possibile seria, di massa, reale e concreta (ricordate? il partito leggero, chiusi circoli, le sezioni, le case del popolo…), che rimaneva all’Italiano Medio? Quale modello, quale cultura?
E la "sinistra", intanto?
La "sinistra" stava nei centri sociali, effimera ma splendida esperienza che per un po’ riuscì a produrre cultura altra, intelligenza, ragionamento, addirittura un discreto livello teorico di lettura del presente, grazie soprattutto ai cari vecchi strumenti operaisti; Rifondazione, che dopo essersi liberata delle vecchie cariatidi staliniste di Cossutta & C si avvicinò al movimento, almeno fino a Genova 2001 e poco più (la deprimente esperienza dei Social Forum). Strumentale, senza dubbio, ma per molti militonti rifondaroli fu una boccata d’aria fresca, la possibilità di uscire da vecchie routine centralmente democratiche, per immergersi nel sacro fuoco delle assolutamente non democratiche assemblee di movimento. E poi Genova 2001, gli scontri, il provare sulla propria pelle cos’è davvero la polizia, Carlo.
Ma era tardi, quello che non c’era più era la società, che stava altrove, con altri problemi, con altre esigenze, lontana, altra.
30anni sono tanti, quando la voce che ascolti è sempre quella, e l’alternativa balbetta, bisbiglia confusamente, e poi si tuffa sulla poltrona non appena ne ha l’occasione, alla faccia di un altro mondo possibile!