Il tribunale di Milano

Il tribunale di Milano
Il tribunale di Milano

Sarà l’età, ma io ho un altro ricordo del Tribunale di Milano, rispetto a quello che vedo, che leggo, che ascolto in questi giorni sui giornali, sui siti, sui blog della gente di “sinistra”.

Quando ero poco più che ragazzo, giovane militonto del Centro Sociale Leoncavallo di Milano – il Leo di allora, questo, non la Spa di oggi – c’è stato un periodo che si andava al tribunale un giorno ogni tre. Non per simpatia, ma perché un giorno ogni tre avevamo un processo. Era il periodo della rinascita del Movimento, quello dopo la Pantera, gli anni delle Posse, dei cortei in città con migliaia di persone, dell’esaltazione, delle nuove occupazioni. E delle denunce, dei processi. 1989 – 1994, gli anni di Tangentopoli, ricordate?

Eravamo giovani criminali incalliti? Boh, forse anche un po’ – dipende dai punti di vista – però i processi erano (quasi) tutti per manifestazione non autorizzata, adunata sediziosa (i 99 posse ci fecero pure un tour, con questo titolo) e robe così. Un mese di galera o un milione di lire per non mangiarsi la condizionale. C’è gente che alla fine se l’è mangiata quasi tutta, la condizionale, perché non aveva da tirare fuori tutti quei soldi, e alla fine ha dovuto smettere di andare alle manifestazioni, perché ormai ad ogni manifestazione era una denuncia. C’è chi s’è fatto i processi anche se il giorno del fatto era al lavoro. E poi ti fermavano “ah ciao Tizio, che ci facevi ieri a Gorizia?” “ah ciao Caio, occhio che a lasciare sempre la macchina là rischi che te la fottano”. E poi c’erano le volte che uscivi dal centro, pigliavi la strada per tornare a casa, ti fermavano in Piazza Sire Raul, ti puntavano la pistola, ti facevano scendere, calci sulle gambe, scappellotti, botte sulle reni, minacce (ma pensate che a Genova 2001 si siano inventati qualcosa? E’ sempre stato così: la differenza è stata nella quantità, non nella qualità). E così via.

E per noi si sono sempre riusciti ad organizzarsi per non farci saltare manco un processo: tutti li abbiamo fatti. Ma Tangentopoli no, per quelli non c’erano le risorse, molti sono finiti in prescrizione. Noi mai, noi no.

Ricordo un’assemblea al secondo Leo, quello vicino a Forlanini, quello tra lo sgombero del ’94 e l’attuale. Era l’estate ’94, e si chiacchierò proprio di queste cose, e l’avvocato del centro che ci spiegava come nella giurisprudenza emergenziale si fosse ormai consolidata una modalità schmittiana, per cui non eri colpevole perchè avevi fatto qualcosa, no, ma perché eri qualcuno. E nel nostro specifico, eravamo militanti autonomi del Leoncavallo, quindi colpevoli già solo per esserlo, al di là di quel che si faceva.

Insomma, per anni 1/3 delle nostre energie, dei nostri soldi, delle nostre iniziative andavano a parare quel che quotidianamente ci arrivava dal Tribunale di Milano.

Ed oggi quello stesso tribunale, quelle (quasi) stesse persone dovrebbero essere quelle che, liberandoci di Berlusconi – per via giudiziaria – dovrebbero portarci a stare meglio, ad uscire da questo nero tunnel che si sta mangiando la democrazia, quel che ne rimane, in questo tetro paese.

Ma siamo davvero così stupidi?

E noi si sta a guardare

La classe dirigente
La classe dirigente

Sono un po’ di mesi che sul globo terracqueo succedono delle cose. Cose che, probabilmente, fra qualche anno i nostri figli o nipoti studieranno sui libri di storia: la crisi economica che ha spazzato via lo stato sociale novecentesco – così come la caduta del muro di Berlino spazzò via il “Comunismo” (e chi non vede il legame tra i due avvenimenti, peste lo colga); il rischio di fallimento di alcuni stati europei, indebitati con quelle banche che sono state la causa principale della crisi di cui sopra, ma che sono state le uniche organizzazioni non solo a non subirne gli effetti – a subirli in maniera marginale – ma anche ad essere state lautamente salvate col denaro pubblico; il ritorno delle rivolte per il pane, soprattutto nei paesi più poveri; il ritorno, pure, della “rivoluzione”, parola tabù del nuovo millennio. Ritornata non in Occidente, bensì in nord Africa, presso quegli stati “islamici” che noi eurocentrici ci immaginavamo culturalmente inesistenti e politicamente bloccati da un radicalismo religioso semi terroristico. Tutto questo in un quadro di guerra internazionale ormai continua, con gli USA che cercano di mantenere – con la forza delle armi – quel poco di dominio mondiale che gli è rimasto, e la Cina che se lo conquista con un’economia – schiavista – che cresce a ritmi inimmaginabili da noi.

Da noi, intanto, siamo in pieno revival da basso Impero, con Presidente del Consiglio che ormai si occupa esclusivamente a salvarsi il culo (flaccido, pare), buttando in malora quel poco di “democratico” che è rimasto del nostro Stato, in un conflitto aperto e perenne tra le istituzioni – esecutivo contro magistratura; presidenza della repubblica contro esecutivo; magistratura con magistratura; ministri contro funzionari pubblici; Stato e Mafia (ma dov’è la differenza?) contro cittadini – e parte del paese che ormai è seriamente intenzionata a scollarsi di dosso la sua parte di responsabilità per il benessere collettivo, in un rigurgito xenofobo ed individualista che dovrebbe far paura, se ci fosse ancora qualcuno in grado di percepire queste cose.

In questo marasma tragicomico – sempre più tragico e sempre meno comico – il meglio che la Sinistra riesce a proporre è la retorica d’antan di Nichi Vendola, che cerca di battere Berlusconi con le sue armi: il personalismo e le vuote chiacchiere che dovrebbero far leva non si sa bene su cosa, vista la situazione politico – culturale generale scaturita da 15 – 20 anni di lavaggio del cervello mediatico a tutto tondo. Chi, come me, è appassionato di letteratura cyberpunk – l’unica veramente realista degli ultimi anni, assieme a qualcosa del postmoderno – e di Neal Stephenson in particolare, si sentirà assolutamente a casa, in quesata situazione. Purtroppo.

Ma “noi”, che fine abbiamo fatto? Dov’è finita l’intelligenza collettiva che portò in Italia gli aspetti più innovativi della rete quando ancora nel nostro paese il massimo ri/conosciuto a livello collettivo era il Fax? Dove sono finiti quegli intellettuali scalzi che riuscivano ad annusare le novità culturali, politiche, tecnologiche e sapevano poi riproporle rinnovate, radicalizzate, sul nostro triste scenario?

Dall’alto del mio eremo montano – ecco perché alto – non vedo più che nebbia. La lontananza rende tutto più piccolo, la soppravivenza mi toglie tempo ed energia, ed al massimo riesco a scorgere, o penso di scorgere, i tratti generali delle dinamiche – la tendenza, si diceva pomposamene una volta – senza più la capacità di percepire il dettaglio e di metterlo a frutto.

Se qualcosa riesco ad immaginare, di un futuro che percepisco sempre più fosco, è un ritorno ad un collettivismo della sopravvivenza – Società di Mutuo Soccorso, Cooperative di Consumo, Società Operaie – in un tentativo di recuperare socialità dalla necessità, sperando – sognando? – che questo aiuti a riconnettere esperienze, a riprodurre composizione dove ormai domina l’individualità, il timore, il sospetto.

Una fatica improba, che spesso si rifugge per stanchezza e delusione, per pigrizia ed incapacità. Ci si contenta a tirare avanti, si schiva il disastro, quando ci si riesce, e ci si racconta che, comunque, siamo sempre Compagni, perché ritwittiamo le notizie di chi la Rivoluzione la sta facendo per davvero.

Ed ora vado a tagliare la legna.

I padri ingannevoli

Piccolo quiz di inizio anno: di chi sono queste parole?

“Giovani, combattete sempre per la libertà, per la pace, per la giustizia sociale. La libertà senza giustizia sociale non è che una conquista fragile, che per alcuni si risolve semplicemente nella libertà di morire di fame. Libertà e giustizia sociale sono un binomio inscindibile. Lottate con fermezza, giovani che mi ascoltate, e lo dico senza presunzione, ma come un compagno di strada, tanto mi sta a cuore la vostra sorte. Io starò sempre al vostro fianco”.

La soluzione completa la trovate a quest’indirizzo. È il discorso di Capodanno del Presidente della Repubblica. Del 1983, era Pertini. Fa impressione, eh?

Fonte: minima & moralia

10-100-1000 Pomigliano/Mirafiori

Schiavi in mano, foto
Schiavi in mano

E’ di questi ultimi mesi la rottura interna alla trimurti sindacale – Cgil, Cisl e Uil – in particolar modo in ambito metalmeccanico, con la Fiom – che  di tutte è forse l’unica entità confederale con dei veri iscritti, cioè con dei lavoratori che vedono (vai a sapere perché, ma questo è un altro discorso…) nel loro sindacato uno strumento per migliorare le loro condizioni di lavoro – che si trova isolata dagli altri sindacati di categoria, ormai diventati niente più che dei sindacati gialli.

http://www.youtube.com/watch?v=U9RW7DmJTMQ

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T. A. Z.

Hakim Bey
Hakim Bey

Dopo tanti anni ho ripreso in mano il bel libro del grande Hakim Bey, T. A. Z., pubblicato nell’ormai lontano 1993 per i tipi della Shake. Un libro che per me fu una delle grandi svolte intellettuali (si fa per dire …) della mia vita: ero nel periodo di transizione dall’autonomo leoncavallino duro e puro (anche qui, si fa per dire …), verso … boh, qualcosa che oggi definirei libertario. Un percorso lungo, che non è ancora finito (per fortuna …), che mi ha portato a rivedere tante cose, quasi tutte quelle fondanti, dal punto di vista dell’identità, rispetto al periodo precedente: il definirsi comunista, avere nell’organizzazione (non nel partito, giammai, che da noi il partito E’ il PCI, ed un autonomo ha proprio il PCI come uno dei principali nemici… e viceversa, ovviamente! Poi con gli anni mi accorsi che dire organizzazione e dire partito era sostanzialmente parlare della stessa cosa usando etichette diverse) il centro della propria attività, vedere nella rivoluzione russa l’inizio di un ciclo di lotte vincenti… e tante altre…

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Una nuova generazione: famose da parte, please

Banksy - Rickshaw
Banksy - Rickshaw

Partiamo da una data, per comodità: settembre 2008, scoppia la Crisi, con la C maiuscola. E’ una crisi finanziaria, cioè causata dalle speculazioni finanziarie, dalla globalizzazione della finanza, dalla trasformazione della produzione che è diventata sempre più cognitiva – dicono quelli che ci capiscono – ma che è diventata sempre più altrove e non da noi: in Cina, India –  in condizioni di vita che da noi erano già contestate nell’800 – in America del Sud. Una crisi finanziaria che mette in crisi il sistema bancario, immediatamente salvato con botte di centinaia di milioni di euro e di dollari.

Presi da dove, ‘sti soldi? Dallo stato sociale, ma naturalmente! E quindi giù tagli verticali, come ama definirli il nostro amato – ed amatissimo in Europa – ministro Tremonti, già candidato a sostituire il fava del Berlusca. Tagli che vanno a toccare tutti i ceti meno abbienti, e pure il ceto medio, tanto che proprio oggi esce la notizia che

il quarantacinque per cento della ricchezza italiana è in mano al 10 per cento delle famiglie. Lo segnala Bankitalia nel supplemento al bollettino statistico dedicato alla ricchezza delle famiglie alla fine del 2008. Al contrario, il portafoglio della metà più povera degli italiani non arriva ad avere neppure il 10 per cento della ricchezza complessiva. Insomma, la forbice si allarga e lo Stivale fa i conti con poche famiglie ricchissime e molti italiani che tirano a campare.

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Internet, dalle apps a Wikileaks: una svolta. Verso dove?

Logo Wikileaks

Logo Wikileaks
Wikileaks

Prendo spunto da un po’ di cose che sono successe e stanno succedendo negli ultimi mesi, per cercare di avviare un ragionamento, una proposta di riflessione ma anche di azione (chi è che diceva che teoria e prassi devono sempre andare di pari passo?).

Sicuramente lo spunto principale è la faccenda Wikileaks, e tutto quello che sta succedendo da che è scoppiato il caso cablegate.

Di punto in bianco un sito importante e conosciuto come quello di Wikileaks s’è trovato sotto attacco, con lunghi momenti di buio totale, senza più dns, senza più copertura finanziaria (gli hanno chiuso il conto su paypal, la visa e la mastercard, etc etc), col solo supporto pratico della comunità hacker e di chi si occupa di libertà della rete. Sicuramente c’è stata anche una bella e pronta reazione da parte nostra, ma con che reale possibilità di incidere?

Un attacco pubblico, frontale, come non se n’erano mai visti primi – a mia memoria. Tutta la retorica della rete libera, della democrazia e bla bla bla è stata accantonata in un attimo.

Con che conseguenze per tutt@ noi?

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La droga più pericolosa? l’alcol …

Doc Nutt
Doc Nutt

In un articolo del 2009 il Proff. Nutt pubblica su “Lancet” ci racconta che la “sostanza” più dannosa della nostra epoca è il legalissimo alcol. vengono, in un decrescendo di pericolosità l’eroina, il crack, le metanfetamine, la cocaina, il tabacco, le anfetamine, e buon ottava la cannabis. Distanziate di molto le tanto terribilmente citate ketamina, l’ecstasi e in penultima posizione l’LSD.

E’ significativo notare che nel mondo, e nel nostro paese in particolare, di questa tabella sono legali la sostanza più pericolosa (l’alcol) e il tabacco. Tutte le altre sono assolutamente illegali.

Ma non solo:

Al primo posto ci sta proprio l’alcol con un buon margine di vantaggio sull’eroina e con un indice di pericolosità tre volte tanto quello della cocaina e quasi quattro rispetto a quello della marijuana. Vale anche la pena ricordare che l’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che le bevande alcoliche siano la causa di due milioni e mezzo di morti ogni anno, mentre nel nostro Paese l’alcol provoca tra le 21 e le 25 mila morti ogni anno a fronte di alcune centinaia dovute alle altre droghe (tabacco escluso).

Questo si legge in un articolo pubblicato da Stampa Alternativa proprio quest’anno, Vino e bufale, a cura di due medici specializzati sulla materia.

Sarebbe ora che iniziassimo a fare un ragionamento serio su questo argomento, al di là della ludica – e sacrosanta – voglia di farsi una canna in santa pace.

Nutt on Lancet, drugs comparisions
Nutt on Lancet, drugs comparisions

Nascondiamo la munnezza sotto il tappeto

Migranti
Migranti

Sono successe un tot di cose nel nostro paese in questi giorni. Alcune sono state poste sotto i riflettori mediatici in maniera parossistica; altre sono state si è no accennate, per poi finire nel dimenticatoio, sotto il tappeto, appunto.

Intanto la querelle Rudy, cioè l’ennesima figliola che si sarebbe concessa a pagamento al nostro Presidente del Consiglio. Non sarà l’ultima, non è stata la prima.

Repubblica di venerdì gli ha dedicato le prime 9 (nove) pagine, con tanto di verbali, commenti, articoli, chiose, esternazioni, starnazzi, frizzi e lazzi. Gli altri giornali non li ho letti, ma alla fine manco repubblica, che ho iniziato a degnare di uno sguardo da pag. 10.

A che serve questa campagna contro Berlusca? Dovrebbe servire a spingerlo via dallo scranno del potere, facendo vedere a tutt@ quant’è corrotto – pure le minorenni! – quanto poco si interessa del paese, etc etc.

A mio modestissimo avviso il risultato è esattamente il contrario: l’italiano media – ignorante, macho, segaiolo – invidia questo over 70 ricco, scopatore, barzellettaro impenitente; “uno di noi” che ha avuto successo, che non paga le tasse ed è sboccato; fa scherzi da caserma ed è un tipo alla mano.

L’esatto contrario del politico classico, soprattutto se di sinistra: intellettuale, con la puzza sotto il naso, incomprensibile, borioso. Uno che arriva dai quartieri alti – lo si capisce appena attacca a parlare – pensate a Bertinotti, mortacci sua.

Il risultato di questa campagna – mediatica, quindi sul terreno più congeniale al Silvione  – è che sempre più gente sarà solidale con lui, attaccato da questi invidiosi di un uomo di tanto successo, in tutti i “campi”.

D’altro canto risulta strano che proprio in questi giorni si sia parlato tanto – e quasi esclusivamente – di sta fuffa, e quasi per nulla, per esempio, di altre cose, a mio avviso molto più serie e gravi. Vediamo quali.

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