Da non credersi: dopo anni di coma (almeno 11), possiamo annunciare commossi il (parziale? momentaneo, temo…) riemergere dal sonno (della ragione?) del Compagno "il Manifesto, quotidiano comunista".
Sul giornale di ieri, infatti, sono usciti non uno, non due bensì, tenetevi stretti e i deboli di cuore si seggano, TRE articoli belli!!
Non "carini", "interessanti" o "simpatici"; non il solito corsivo meraviglioso di Robecchi; non la solita straordinaria vignetta di Vauro. Nulla di tutto ciò: proprio tre articoli, di cui due nella cronaca politica (ve l'avevo detto di sedervi…), e uno nelle pagine della cultura.
Visto l'evento straordinario, mi sembra ad uopo riportarli nella loro intierezza, sì da poterli rileggere nei prossimi anni (la memoria, si sa, è fallace; e quando racconterò a mio figlio che "il Manifesto" era un quotidiano che scriveva articoli belli, avrò anche qualche prova, e non solo i deliri di un ottuagenario rincoglionito).
Partiamo (in ordine crescente di qualità, a mio modestissimo avviso):
Il 9 giugno «no Bush» a Roma mette in difficoltà il partito.
Che promuove ufficialmente il sit-in di piazza del Popolo. Ma molti «simpatizzanti», a partire da Action, saranno al corteo antagonista
Alessandro Braga
Roma
Sabato a Roma arriverà George W. Bush e la piazza, come in qualunque luogo del mondo dove metta piede il presidente statunitense, si prepara ad accoglierlo con contestazioni. A Roma, le piazze saranno addirittura due: una stanziale, piazza del Popolo, dove la sinistra di governo assieme a Arci, Fiom e altre associazioni pacifiste ha organizzato una giornata di canti, balli e dibattiti per «suonarle e cantarle» a Bush; l'altra, in movimento, è quella della sinistra radicale non di governo, che attraverserà in corteo la città e, oltre a Bush, contesterà anche il governo italiano.
Non sarà una giornata di mobilitazione in cui ci saranno da una parte i «buoni» e dall'altra i «cattivi». Anche perché al corteo parteciperanno tante persone che sono elettori di quei partiti che se ne staranno a piazza del Popolo. Semplicemente, spiegano gli organizzatori del No Bush No War Day, quelli del corteo insomma, «ci saranno due manifestazioni perché agisce una contraddizione tra due piattaforme diverse tra loro rispetto alla visita di Bush, al ruolo degli Stati Uniti e alle responsabilità del governo italiano nella guerra permanente».
Fino alla fine, del resto, molti tra i partecipanti al corteo hanno cercato di dialogare con la piazza del Prc. Non certo i Cobas o il Partito comunista dei lavoratori, per cui la deriva governista di Rifondazione è inaccettabile da sempre ma, ad esempio, il Network delle comunità in movimento, che raggruppa tra gli altri Action, il centro sociale milanese Leoncavallo e addirittura i Giovani Comunisti, associazione giovanile dello stesso Prc.
Nunzio D'Erme ha dichiarato che «per il movimento è inaccettabile rinchiudersi in una piazza. Ma in quella piazza ci saranno tanti bravi compagni con cui vogliamo dialogare da subito». Resta il fatto, sottolineano però quelli del Network, «che di fronte alla venuta di un criminale di guerra rispondere con un concerto è inefficace. Come è improprio tacere le responsabilità del governo, soprattutto dopo che Prodi ha rivendicato la decisione di portare a termine il progetto Dal Molin».
Come per la manifestazione contro l'ampliamento della base americana di Vicenza, la patata bollente resta in mano a Rifondazione comunista. Allora, il problema era se «Vicenza valesse un governo». Ora, se è sufficiente un concerto, con contorno di dibattiti, per manifestare la propria contrarietà al presidente americano in visita in Italia.
Per il gruppo dirigente di Rifondazione pare proprio di sì. Michele De Palma, della segreteria nazionale, ha spiegato che «la manifestazione a cui aderirà il Prc sarà diversa da quella organizzata dai gruppi dell'estrema sinistra non di governo». Un piede qua e uno là insomma, un occhio alla piazza e uno agli alleati di governo. Che questo basti ai militanti della base non è così sicuro. Almeno a giudicare dalle adesioni al corteo di pezzi del Prc: da alcuni deputati a consiglieri comunali di tutta Italia, fino a semplici militanti, saranno molti i rifondaroli che marceranno contro Bush. Tutta l'area di Sinistra Critica sarà al corteo e non a piazza del Popolo. Di più, i Giovani comunisti fanno parte del Network delle comunità in movimento, tra i promotori del corteo. E il Network guarda alla Sinistra europea come cantiere praticabile per l'unità dei movimenti. Se ciò non avvenisse, dicono, «Sinistra europea rischierebbe di nascere già morta per via di un processo che coinvolge i partiti politici istituzionali, ma che bypassa il dibattito politico vero». Il rischio per Rifondazione non è solo quello di perdere contatti con il movimento, ma con i suoi stessi militanti e elettori.
Le ultime elezioni amministrative hanno già dato un segnale in questo senso: il Prc ha pagato con un sensibile calo di consensi il suo primo anno di governo. Un'ulteriore ambiguità potrebbe aumentare il numero di quegli elettori che si ritroverebbero costretti, non sentendosi più rappresentati, a scegliere alle prossime tornate elettorali la via dell'astensione.
La guerra dei media
Guido Ambrosino
Rostock
Gli organizzatori della dimostrazione, ammaestrati dal disinvolto uso della statistica da parte della polizia, ne hanno seguito l'esempio, lamentando da parte loro 520 feriti. Sommati ai 433 tra gli agenti, si avvicinano alla spaventosa cifra a tre zeri. Ma, da quanto ci ha confermato l'ospedale di Rostock, solo 70 persone, o forse qualcuna di più, si sono rivolte al pronto soccorso cittadino. Tolti i 30 poliziotti di cui abbiamo già detto, deve averlo fatto anche una quarantina di dimostranti. Gli altri, compresi quelli scivolati per terra o spintonati dai compagni nelle fughe dalle cariche, se la sono potuta cavare con un cerotto o una fasciatura alla buona. Sembra poi strano che una furibonda guerra urbana si sia conclusa con soli dieci arresti. Tanti sono stati i provvedimenti confermati dalla magistratura, non uno di più, su un totale di 128 persone fermate. Tenute in cella anche dieci ore per «identificarle» ma poi rilasciate. Anche se alcuni, non sappiamo quanti, saranno sicuramente denunciati per i soliti reati di violenza, resistenza e «turbamento dell'ordine pubblico». Tra i fermati qualche straniero, ma nessun italiano.
Ma non era finita. Qualche cervellone ha spedito sul posto idranti e bulldozer, e sono partite le prime salve di lacrimogeni. Il tutto con più spiegamento di mezzi, ma ugualmente senza concetto, perché nessuno se l'è sentita di disperdere la folla che assisteva al concerto, dove i frombolieri potevano sempre trovare riparo. Tre auto sono state incendiate, ad altre due sono stati rotti i finestrini. Danneggiamenti inutili e gratuiti. Ma nulla di paragonabile alle «devastazioni» di cui favoleggia la Bild, con danni di milioni di euro. «I danni sono tutto sommato contenuti», dicono al comune di Rostock. La Bild fa il suo solito mestiere, stupisce invece che seri quotidiani italiani ne riprendano le panzane come se fosse la Bbc.
Perché le forze dell'ordine hanno sempre ragione
Marco Bascetta
Ma ciò cui assistiamo quotidianamente in una nobile gara tra destra e sinistra è la pretesa che i cittadini «amino» incondizionatamente i tutori dell'ordine pubblico e ne invochino assiduamente la protezione, assolvendone pregiudizialmente qualsiasi comportamento e rinunciando a strumenti di controllo e garanzia che ne sorveglino l'operato.
Le grane di Moltalbano
Quelle poche volte che il marcio viene a galla, la stampa si guarda bene dal darvi eccessiva importanza. Non v'è paragone tra lo spazio dedicato a qualche scritta irriverente o minacciosa sui muri delle nostre città e quello assai modesto riservato ai troppi soggetti «molesti», riportati all'ordine un po' troppo con le cattive e talvolta con tragiche conseguenze.
In realtà tra sinistra e destra qualche lieve differenza c'è. Mentre l'amore della prima si estende anche alla magistratura, quello della seconda assai meno. E non solo perché può accadere che qualche personaggio eccellente finisca sotto processo, ma soprattutto perché se il cittadino «moderato», almeno così si è inclini a pensare, non rischierebbe mai di finire nel mirino della polizia (puntato essenzialmente sulle cosiddette classi pericolose) rischia invece di finire in quello della magistratura. Quest'ultima, infatti, è chiamata a confrontarsi, almeno in teoria, con tutta l'articolazione dei comportamenti sociali (che comprendono le forme «borghesi» del crimine) e la complessità del sistema giuridico, e quindi a giudicare, con la conseguente possibilità di giudicare male.
La norma dell'impunità
L'arbitrio dei «normali»
Alla base di questa polarizzazione vi è il secondo elemento decisivo. Si tratta di un ragionamento, proveniente d'oltreatlantico, ma ormai saldamente radicato nel vecchio continente, che funziona pressappoco così: bisogna farla finita con tutte le «scusanti sociologiche» sulle radici sociali e ambientali del crimine, che hanno lungamente assecondato politiche tolleranti e velleità di integrazione, per tornare al sano principio secondo cui «non è la società ad essere responsabile del crimine, ma sono i criminali ad essere responsabili del crimine». Fin qui è il ripristino di un vecchio e incrollabile principio puritano e la riedizione collettivizzata della predestinazione calvinista. Tuttavia sebbene il crimine sia considerato il risultato del libero arbitrio individuale, il prodotto di una singola soggettività, per così dire, «votata al male» e predestinata alla dannazione esso infligge un danno che è di natura sociale. Ad essere colpita non è solo, né soprattutto, la vittima di quello specifico atto criminale, ma la società intera. Ed ecco che la società, scomparsa tra i fattori che condeterminano il crimine, si ripresenta, tuttavia, come sua principale vittima. Morale: la società è sempre buona e giusta, sono i singoli ad essere malvagi. O anche: il mercato è sempre buono, sono i singoli a conquistarsi la virtù del successo o il disonore del fallimento. L'indice puntato contro la responsabilità individuale, si traduce sempre e comunque in una difesa integrale dell'ordine costituito, che corrisponde però, in questo modo, anche a una sorta di «irresponsabilità sociale». È precisamente in questo punto che l'ideologia e la pratica neoliberista, divorziando dalla tradizione liberale e garantista, si intreccia con un incremento delle funzioni repressive dello stato. Minimo come stato sociale, massimo come stato di polizia. Come l'ideologia dell'«irresponsabilità sociale» sia poi conciliabile con le ripetute geremiadi sulla mancanza di valori e sul cinismo della società contemporanea resta avvolto nel mistero.
Resta comunque la centralità assoluta della repressione, sollevata da ogni condizionamento, dubbio o insufficienza. E la conseguente infallibilità di chi la esercita, ossia la polizia. Una volta respinta qualsiasi influenza degli squilibri sociali sui comportamenti devianti, ne risulta conseguentemente esclusa qualsiasi efficacia delle politiche sociali in questo ambito. A questo punto il ricorso alle forze di polizia per risolvere qualunque problema nelle più diverse sfere della vita civile non ha più argini. Esiste un problema di consumo di spinelli nelle scuole superiori? Si chiederà ai carabinieri di compiere azioni improvvise di controllo, con cani e quant'altro. A proporlo non è un governatore texano, ma il ministro della salute di un governo di centrosinistra in Italia!
Gli alieni da richiudere
I moderati vanno alla guerra
Ma vi è un ulteriore elemento di preoccupante irrazionalismo. L'infallibilità della polizia e quella continua domanda di dispositivi di controllo e di sorveglianza sempre più perfetti e pervasivi, che giustamente terrificavano gli spiriti liberali di un tempo, che vi vedevano l'essenza stessa del totalitarismo, deriva da un'idea, tanto bizzarra quanto pericolosa. E cioè che il potere non possa che essere buono, la democrazia irreversibile, le libertà, in fin dei conti, rispettate quanto basta. Cosa accadrebbe se un sistema di sorveglianza senza residui cadesse, qualora già non lo fosse, in cattive mani? Non ne abbiamo forse già avuto un assaggio con l'abuso delle intercettazioni telefoniche? Il 1984 di George Orwell, da spauracchio del liberalismo è diventato il sogno in via di realizzazione di sindaci di destra e di sinistra, l'obiettivo agognato di una governance integrale. Il culto della polizia non è che l'assoluzione preventiva di ogni potere e l'invito rivolto ai governati (che non può essere declinato) a cercare solo nella subordinazione la sicurezza e la felicità.
@fastidio
> soprattutto l’ultimo articolo, quello di bascetta sulla
sicurezza è notevole e
coraggioso. lo spirito che il manifesto non ha più da tempo
e già, per me è stato uno di quegli articoli che alla fine dici, “vedi, ste cose le ho sempre pensate anch’io, ma vedi come le ha messe giù bene lui?”.
cmq anche l’articolo di Ambrosino ha il merito, unico nel panorama mainstream (per quel che ho potuto vedere io) di far riferimento al video in cui si vede la polizia che inizia ad arrestare la gente senza che nulla sia ancora successo; e a ridimensionare il numero dei feriti.
l’altro… niente di che, ma almeno “informa” in maniera non troppo indegna sul 9.
tanta roba, di questi tempi…
Bel post!
soprattutto l’ultimo articolo, quello di bascetta sulla sicurezza è notevole e coraggioso. lo spirito che il manifesto non ha più da tempo