Operaismo libertario

E' da ieri che mi frulla in testa questa follia.
Sarà che sto leggendo l'inserto de "il manifesto" sui 40anni di "Operai e capitale" di Tronti, sarà che sto rileggendo "T. A. Z." di Hakim Bey, e quindi ci sta che abbia mischiato impropriamente le due cose, i rispettivi deliri.
Ma alla fine la cosa non mi pare poi così campata in aria… 🙂

Insomma, alla fine stiamo parlando dell'operaismo, cioè di quella corrente del pensiero "marxista" che più di ogni altro è andato "oltre":

oltre l'ortodossia, oltre  la multidisciplinarità (che in questi giorni ho scoperto chiamarsi "cultural studies" e che è una pratica inventata nei '60 in inghilterra, a birmingham; mi pareva che l'usassero già i vari bosio, montaldi, panzieri, alquati, etc etc etc un decennio prima, ma si sa che sono 'gnurant, che ve lo dico a fa'?), oltre la legalità (vivaddio! :), oltre.

tanto che nel più bel saggio dell'inserto del "quotidiano comunista" (azz…), quello di Sergio Bologna (ma che ve lo dico a fa'?), il nostro, giustamente e gloriosamente e gioiosamente (per me), ma anche goduriosamente e provocatoriamente (aiò aiò!), definisce l'operaismo:

"il primo movimento post-comunista".

grande sergione, dioboia!!! :-)))

e quindi se sei post-comunista (ma io direi anche anti-comunista, visto quello che è stato il "comunismo" nel secolo scorso), andiamo oltre, e vediamo cosa ha determinato, alla fine, dal punto di vista pratico e dal punto di vista teorico l'operaismo nel nostro paese.

1) Pratico

Da questo punto di vista, a mio avviso in gran parte merda.

Al di là della retorica e dei miti, tanto potere operaio che l'autonomia non sono stato altro che gli ennesimi movimentuccoli para-leninisti, verticisti e sessisti (né più né meno che i vari lotta continua, manifesto, avanguardia operaia). solo più colti e, da non sottovalutare, con un tipo di aggregazione a comitati, a collettivi, a, in qualche modo, "gruppi d'affinità", che ha permesso loro di produrre anche una non fondamentale, ma sicuramente determinante minoranza di gruppi a loro facenti riferimento, dotati di un quid di "diversità" assai importante. 

e penso a bologna '75, "a/traverso" e a tutta la "corrente creativa"; ma anche ai circoli del proletariato giovanile di milano ('75 – '76), che precedettero il "movimento del '77" di pochi mesi a loro successivi ma anche il "movimento dei centri sociali" post pantera, dei primi anni '90. e ai comunisti libertari, che furono per un pezzo parte dell'autonomia, contaminandola con le il morbo dell'orizzontalità.

questo humus, dalla metà degli '80, ebbe poi da confrontarsi con il movimento punk, quello politico del virus di milano, di helter skelter.

contaminazioni che portano tanti della mia generazione a non poterne più delle assemblee determinate da 5 stronzi di leninisti di merda che hanno già deciso tutto la sera prima, delle manifestazioni concordate con gli sbirri, con la logica spettacolare del "bucare lo schermo" e chi cazzo se lo ricorda Debord?

Ecco allora che un operaismo libertario è concetto meno folle di quel che può sembrare all'inizio (anche durante forse, e il dubbio rimane anche alla fine, ma tanté… ;).

2) Teorico

Si, perché se all'inizio la "cassetta degli attrezzi" era quasi solo Marx (dei frammenti, della IV sezione del primo libro del capitale, forse dei quaderni economico-filosofici del '44); ma oggi è arrivata anche tanta altra roba, che porta a Foucault, a Deleuze, a Guattari, alla Heller, ad Hakim Bey, a Debord!!

e allora, porcamadonna, il libertario entra a piedi uniti sul pelato di merda di Stato e rivoluzione.

e ragioniamoci 🙂 

Una risposta a “Operaismo libertario”

  1. >> il libertario entra a piedi uniti sul pelato di merda di Stato e rivoluzione.

    ma stai scherzando?
    vabbe’, va’…
    rileggiti le mie lezioni sul leninismo

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