Sergio Bologna: ma dove cazzo eravate in questi ultimi quindici anni?

Oggi su il manifesto, sezione posta a pag. 10, c’è una lettera del sempre splendido Sergio Bologna. Eccola di seguito:

"Com’è bello sentire il cuore del «popolo di sinistra» pulsare così forte per gli operai di Pomigliano, inalberare ancora la bandiera dell’art. 1 della Costituzione, ergere il petto contro gli attacchi al diritto di sciopero! Che spettacolo di virtù civiche e di democrazia! Poi ci viene un dubbio: ma dove cazzo eravate in questi ultimi quindici anni? Davanti ai videogiochi? Non vi siete accorti che il diritto di sciopero non esiste di fatto per più di un milione (1.000.000) di precari e di lavoratori autonomi da un bel po’ di tempo

Quelle migliaia di giovani laureati che lavorano gratis nei cosiddetti tirocinii, hanno diritto di sciopero quelli? Messi insieme fanno dieci Pomigliano. C’è un’intera generazione che è cresciuta  senza conoscere diritto di sciopero, né cassa integrazione, né sussidio di disoccupazione, niente. «Bamboccioni» li ha chiamati un ministro (di centro-sinistra ovviamente). Ma tornate davanti alla tele a guardarvi Santoro! Raccontatevi barzellette su Berlusconi, leggetevi Repubblica come la Bibbia, che altri in difesa della democrazia e del lavoro non sapete fare!".

C’è altro da dire? Si, manca un sereno e determinato "andate a tutti a fare in culo!".

Amen.

Marazzi e morti ammazzati

In un paese culturalmente arretrato come il nostro, soprattutto dal punto di vista sessuale (e come poteva essere altrimenti, siamo occupati dal Vaticano!), non stupisce che il grosso della comunicazione politica di questi mesi sia incentrato sui divertimenti goderecci, sui pruriti di alcuni nostri politici: il Presidente del Consiglio prima, quello della Regione Lazio ora; ma chi lo scorda il mitico et cattolicissimo Mele, antesignano di tutto ciò, un uomo che veramente era avanti!
In un paese colonizzato mediaticamente come il nostro, non stupisce neanche che l’altro grande argomento collegato a questi fatti, l’uso intensivo di cocaina nei sexy party di cui sopra, sia appena accenato, e via. Sciocchezzuole.
Tanto nelle vicende berlusconiane che in quelle marazziane, oltre al sesso a pagamento non mancava mai una spolverata – e consistente – di polvere bianca. D’altronde, poretti, con quanto lavorano, quando poi vogliono andare a svuotarsi i coglioni se non pippano un po’ col cazzo che gli tira. E scusate i francesismi.

Di fondo me ne fotterei di tutto sto po po di porcile: non mi stupisce, mi fa un po’ schifo, ma tutto sommato sono normalissime scene da fine dell’impero romano.

Non fosse che la gente muore.

Non il miliardo di morti di fame dei vari terzi, quarti e quinti mondi, che quello è normale. E manco i profughi sui barconi, che pure quello è normale. Anzi, se qualcuno si comporta decentemente e li aiuta, ‘mazza, c’è da rimanerci esterefatti (e rischiano pure la galera).

No, muore la gente trovata per strada con un pezzetto di fumo, o con un grammo d’erba, o che è uscita da un rave o da una discoteca e forse è un po’ di fuori.
Questi, soggetti sicuramente pericolosi, muoiono pistati dalle guardie in galera. Se non direttamente per strada, così non c’è neanche da pulire:

 
Solo per citarne alcuni.
 
Ma questi, d’altronde, mica è gente che lavora! Mica sono importanti uomini politici che gestiscono la cosa pubblica e che, quindi, hanno bisogno del sacrosanto svago, eh!
Di questi non c’è da parlare tanto, da fare tanto baccano, che le lezioni vano impartite nel locale, in viva voce, senza passare troppo per i mezzi di comunicazione.
Ma, ci si chiede: e i Democratici? Che dicono di tutto ciò?
Beh, dei morti ammazzati nulla, che poi c’è il rischio di passare di sinistra, e non sia mai! Degli altri tanto, che sai, sono l’alternativa, loro …

Stampa Alternativa, ci risiamo coi fascisti

Ci risiamo, dopo aver aspettato che le acque si calmassero dopo l’appuntamento mancato con i ratti di casapound (vedi questo, quest’altro e quest’ultimo articolo), il buon Marcello Baraghini, triste patron della storica casa editrice Stampa Alternativa, torna alla carica del suo nuovo target editoriale: i più fetenti neofascisti, sicuramente un pubblico più grande e ricco in questa miserrima italietta berlusconiana. Come? Ma pubblicando libercoli immondi e revisionisti, a partire da questo sul Che:

Mario La Ferla, L’ALTRO CHE. Ernesto Guevara mito e simbolo della destra militante

Non l’ho letto – e non intendo leggerlo – ma mi sono avvalso e fidato della recensione di Antonio Moscato, uno dei più seri ed equilibrati studiosi della Cuba rivoluzionaria, critico impietoso e libertario. Di seguito, dal manifesto di ieri:

Antonio Moscato

Che Guevara, un comunista a Casa Pound

Non è sorprendente che i fascisti di Casa Pound cerchino di
appropriarsi del «mito del Che». Il 9 ottobre «celebreranno» la morte
di Guevara presentando un libro di Mario La Ferla, L’altro Che. Ernesto
Guevara, mito e simbolo della destra militante (Stampa Alternativa,
Roma, 2009) con la partecipazione di oratori anche «di sinistra», ma
non dell’autore (la casa editrice pare non voglia)). Presentarsi a
volte come rivoluzionaria, è una vecchia tecnica della destra, dal
fascismo «diciannovista» di Mussolini in poi. Stavolta non fanno
nessuna fatica a utilizzare il libro di Mario La Ferla, che parla del
Che per poche pagine (con sviste e sfondoni vari), e per il resto è una
rifrittura di luoghi comuni su Catilina, D’Annunzio, Pavolini,
Bombacci, Perón, il «nazional-bolscevico» Limonov, ecc. Tra i suoi
«autori» c’è perfino quell’Andrea Insabato, che mise una bomba al
manifesto.
La
Ferla è stato spinto a occuparsi di Guevara da un articolo di Gabriele
Adinolfi
, presentato nel libro in termini apologetici. Si capisce
perché: l’autore ha semplicemente scaricato la presentazione del
terrorista nero fondatore di Terza posizione dal suo sito. Il libro
rivela poche e superficiali letture, segnalate alla rinfusa, tra cui
spicca Alvarito Vargas Llosa. A Casa Pound non si sono sbagliati quindi
a invitare La Ferla. Glielo lasceremmo proprio volentieri. Ma Guevara
no. La Ferla tenta di accreditare un Che di destra perché «influenzato
da Perón», di cui evidentemente non sa nulla, e che considera tout
court fascista. Un contatto diretto tra i due vi fu, non durante il
viaggio del 1959 nei paesi ex coloniali, come scrive, ma nel 1964, e
aveva ben altro senso. Era stato preparato da molti peronisti di
sinistra che si addestravano a Cuba (e che formeranno i montoneros). La
direzione cubana aveva offerto allora senza successo a Perón, ancora
appoggiato da gran parte della classe operaia argentina, di trasferirsi
a Cuba per preparare un ritorno di lotta. L’ambiguità di Perón si
doveva chiarire – con la tragica svolta a destra – solo dopo il suo
ritorno in patria – v. «Quaderno n. 3» della fondazione Guevara, con
preziose testimonianze di argentini. Era comunque inverosimile che
Perón avesse presentato il Che a Boumedienne: il rapporto di Guevara
con l’Algeria era strettissimo, ma con Ben Bella, con cui c’era una
sintonia profonda. Il colpo di Stato di Boumedienne parve e fu una
catastrofe per l’impresa congolese in preparazione.
La vera
incompatibilità tra i fascisti di qualunque genere e il Che nasce dalle
caratteristiche essenziali del pensiero e dell’azione di Guevara. Prima
di tutto dal suo internazionalismo, al tempo stesso etico (sentire
sulla propria guancia lo schiaffo dato in qualsiasi parte del mondo) e
materialista (stabilire intese con altri paesi produttori di zucchero,
per evitare di farsi la concorrenza). Altrettanto lontano dal fascismo,
anzi anti-fascista, il suo «dobbiamo saper essere duri senza perdere la
tenerezza», che difendeva come inevitabili le misure di autodifesa di
una rivoluzione uscita da una lotta feroce, ma vigilava contro i
pericoli di involuzione autoritaria. Esemplare un discorso severissimo
del ’62 ai membri della Seguridad contro la tendenza a inventarsi
nemici.
Altra caratteristica del Che, che lo rendeva diversissimo
sia dai politici borghesi (democratici o fascisti)sia da quelli del
«socialismo reale», era l’assenza di ogni indulgenza per i propri
errori, in cui ricercava la prima causa di ogni male.
Ma basterebbe
l’internazionalismo del Che a ridicolizzare ogni pretesa di annetterlo
al fascismo. Un internazionalismo che presto rifiuta ogni «campismo», e
cerca legami diretti con i movimenti di liberazione, non con gli Stati,
e anzi ne vuole controbilanciare l’influenza. Basterebbe aver letto il
Messaggio alla Tricontinentale e il Discorso di Algeri, con le sue
critiche severe ai «paesi socialisti», per capirlo. Va detto con
tristezza che gran parte della sinistra, anche quando rende omaggio al
Che, ne ignora questa dimensione. E a chi cerca di annetterselo come
«fascista di sinistra», raccomandiamo la lettura di un testo
emozionate, e attualissimo, Lettera ai giovani comunisti (vedi
http://antoniomoscato.altervista.org/)
È vero che c’era anche chi
cantava «il Che Guevara ci piace sì, perché invece di parlare spara»;
se il Che fosse stato solo questo, ogni annessione sarebbe possibile.
Ma Guevara non si limitava a sparare, parlava, anche se inascoltato
(anche a Cuba), per la sua lungimirante riflessione sulla crisi
imminente di quello che si sarebbe arrogantemente proclamato il
«socialismo reale»: una critica da un punto di vista marxista.
Guevara
non era un generico ribelle. Anche se non grande pensatore come Lenin,
Rosa Luxemburg o Trockij, è stato un grande riscopritore del marxismo
critico «senza calco né copia». E non era facile, dopo decenni di
mistificazioni socialdemocratiche e staliniste.

Un eroe nazional… fascista e l’ipocrita retorica italiota

Leggo in una lettera a "il manifesto" che il caporalmaggiore
Giandomenico Pistonami, ucciso in un attentato a Kabul pochi giorni fa,
era iscritto al gruppo di Facebook "Partito
Nazionale Fascista" (che fa schifo pure parlarne così direttamente, che
si rischia di fargli pubblicità, a questi cancri della storia).

Prima di parlarne urge una verifica, quindi vado a farmi una mail adeguata, con quell’account mi iscrivo a facebook, mi faccio un po’ di "amici", mi iscrivo ad un tot di gruppi – tutti fascistissimi, ovviamente – tra cui il famoso parito nazionale fascista e mortacciloro, e varia altra merda.

Se si fa a vedere il profilo del nostro caporalmaggiorde, si può vedere
tra i "suoi amici", Casa Pound (vedi la parentesi sopra), uno dei
peggiori gruppi neofascisti italiani, tra i più attivi e tra i più
duri, vedi le mazzate tirate agli studentelli in P.zza Navona l’anno scorso, durante "l’Onda", e che buona parte dei suoi amici di facebook sono fascisti più o meno convinti e più o meno incarogniti.

Poi si "scopre" che le bombe che hanno ucciso i 6 militari italiani erano di fabbricazione italiana.

Infine infuria la polemica su quelle scuole che non hanno fatto il minuto di silenzio in "onore" delle 6 vittime.

Che dire di tutto ciò, cose apparentemente slegate tra di loro? Che viviamo in un paese incarognito, imbarbarito come non era da decenni, che la cultura media della gente media sta precipitando là dove nessuno avrebbe mai potuto pensare, che le Istituzioni sono ormai brodo di cultura di mafia e malaffare – quando va bene – e di fascismo – di solito – e che la Retorica, l’Ipocrisia, l’Ignoranza sono ormai padrone assolute della scena sociale e politica della maggior parte delle persone.

L’Italia è in guerra – ormai l’hanno capito anche gli stupidi, tanto che ne scrivono pure i fascisti del Partito sulla loro bacheca – e va a combattere coloro che sono stati addestrati dagli USA e armati dalle aziende di armi Italiane. Che sta gente, gli afgani, una volta fatto il loro – cacciare i sovietici a calci in culo – dovevano tornare al loro posto, cioè a cuccia, perché quelle terre sono di importantissima rilevanza strategica per quel che riguarda le strade del petrolio e del gas russi. Che l’esercito italiano è lì al serivizio dell’industria petrolifera italiana, che chi ci va sono soldati volontari stra pagati e spesso fascisti, si spera non sempre ma non stupirebbe. Che quando qualcuno di loro muore – è normale che accada, sono in guerra… – guai a non venerarli e ad adorarli come "eroi", i "nostri eroi", e chi non lo fa, punizione!!

E alla fin fine, tanto per essere cinici e pessimisti fino in fondo, alla fine insomma, se ci possiamo permettere di essere ricchi e grassi quali siamo, noi italiani, noi occidentali, è perché abbiamo in giro per il mondo tutti i nostri eserciti a depredare le ricchezze di tutto il mondo.

Affanculo.

Se ne è andato un compagno, Ivan della Mea

Sabato notte se ne è andato un compagno, Ivan della Mea.

Dire chi è stato Ivan, cosa è stato per la sinistra, tutta, per la cultura italiana, per tanti giovani compagni/e che hanno avuto il privilegio e la fortuna di conoscerlo è cosa che forse farò un giorno, fuori dall’ondata emotiva che ancora mi scuote.

 

 

Il baratro: la società 2

La società.

  società: società

s. f. inv.

ogni insieme organizzato di individui

associazione di più individui caratterizzata dalla comunanza degli interessi e dei fini tra i membri che la compongono

 

Individui, ecco. Oggi siamo una società come da vocabolario: milioni di
individui, chiusi nei loro alveari chiamati condomini, che la mattina
si alzano, vanno a produrre, tornano a casa e consumano, e poi mangiano
e si riposano per poter riprendere il ciclo il giorno successivo. Ogni
tanto scopano, che la specie va riprodotta. E così via.

Su che modello si basa la nostra società, oggi, nel XXI secolo?

Il modello è quello liberista, nella sua variante
"neoliberista", nata negli anni ’70 presso l’Università di Chicago
grazie agli illustri  Ludwig von Mises, Friedrich von Hayek e Milton
Friedman. Modello che prima di essere esportato in tutto il mondo è
stato provato in america latina, in particolare in Cile, con quella
merda di Pinochet (tanto amico di "santo subito" Wojtyla) e poi anche
in Argentina, con gli amiconi del nostro presidente del consiglio, che
ancora è di buon umore a pensare a quei divertentissimi voli della
morte (Cfr. Horacio Verbitsky, Il volo, Feltrinelli, 1996).
Una volta capito che il giochino funzionava, e c’era da farci soldoni a
palate, via che tutti si buttarono a pesce sulla novità: Regan in USA,
la Tachers in GB, ma non da meno furono i nostri socialisti, che
dismettendo i panne dei libertari che avevno indossato a fine anni ’70
(e quanti compagni abboccarono!!! Vedi la vicenda di Reporter, giornale
clone di Lotta Continua, pagato dal PSI, gestito da Martelli, in cui si
infilarono nomi notissimi del giornalismo italiota, tutti ex di Lc).

Nulla di nuovo, nulla di strano: la destra fa la
destra, e il suo scopo è di gestire e dominare la società senza tanti
cagamenti di cazzo, i poveri a pedalare buoni buoni, i ricchi a
guadagnare. E’ stato così per secoli, ogni tanto c’era una rivolta, la
si estingueva annegandola nel sangue, così per qualche decennio zitti e
mosca (mica tanto tempo fa…).

Il cambiamento avvenne con la seconda metà del XIX
secolo quando, col miglioramento delle condizioni di vita media delle
persone, comparvero i primi vagiti libertari e socialisti, le prime
leghe di lavoratori, le prime Società di Mutuo Soccorso, le prime
Cooperative di consumo e tutte quelle strutture che col tempo
diventarono le strutture base del futuro "movimento operaio".

Strutture radicate nella società, che la vivevano e
ne erano vissute, che nacquero proprio per negare il modello unico di
una società bloccata, coi poveri a penare tutta la vita e i ricchi ad
ingrassare.

Si sviluppo, perciò, in seno alla società, dentro la
società, nella Classe (azz, la Maiuscola!), gli strumenti prima di
difesa, poi di rivendicazione, se non di attacco, della Classe stessa.

E’ storia di un secolo di battaglie, di sconfitte
(il fascismo), di gloria e miseria: socialismo, Anarchia, Comunismo; il
movimento sindacale e cooperativo.

Una storia che ha una svolta importante tra il 1968 e il 1973: in quel
quinquennio vengono al pettine nodi vecchi di cento anni, e quelli che
erano diventati i massimi dirigenti della sinistra ormai istituzionale
italiota, nel bel mezzo di una delle battaglie più esaltanti della
storia del movimento operaio italiano (il ’68 – ’69, l’occupazione di
Mirafiori del ’73, il contratto del ’74, il più avanzato della storia
dell’Occidente industriale, ancora oggi studiato nelle università di
tutto il mondo), proprio in quel momento, la peggior dirigenza
possibile della sinistra italiana – la coppia tremenda e tremebonda
costituita da quei deprimenti figuri di Berlinguer e Lama – decisero
che no, il movimento operaio si "faceva Stato", e che chi era contro lo
Stato era contro il movimento operaio.

Lo riscrivo perché deve essere chiaro:

il movimento operaio si "faceva Stato", e che chi era contro lo Stato era contro il movimento operaio.

Ora, in quegli anni lo "Stato" era quello di Piazza
Fontana e delle stragi, della Dc e della Mafia (Andreotti viene
riconosciuto colluso con la Mafia fino a tutti il 1981, guarda caso
proprio l’anno fino a cui quei reati vanno in prescrizione…), delle
tangenti e degli scandali.

Quello Stato che solo grazie al fiume del Movimento,
in tutte le sue sfaccettature, cedette su cosucce tipo l’abolizione del
cotimo, le ferie e i salari per tutti uguali, il divorzio, l’aborto,
una scuola meno di classe (Don Milani docet), una democratizzazione
della società strappata coi denti e col sangue.

Pci e Cgil decisero che no, non si stava col
Movimento, ma con lo Stato. E chi non era d’accordo era, ovviamente, un
terrorista (untorello, Berlinguer docet).

Tra il ’75 e il ’77 questo splendido connubio
produce quella mostruosità giuridica che si chiama "legislazione
emergenziale", nata per sconfiggere il terrorismo (= il Movimento), e
che è in vigore, pari pari, se non peggiorata, ancora oggi.

Tra il ’78 e l’80 la "Sinistra" si suicida, facendo
fuori quel pezzo di società che era la sua carne e il suo sangue,
quelle generazioni che avevano avuto il coraggio di alzare la testa e
rimettere in discussione tutto.

"Togliere l’acqua ai pesci", cioè non permettere ai terroristi di avere
un terreno, un abitat dove potersi nascondere, dove fare proselitismo,
dove sguazzare difficilmente riconoscibili. E per far ciò, come ha più
volte orgogliosamente rivendicato il Sinistro Mussi, è stato fatto
fuori tutto il movimento, c’entrasse o meno col "terrorismo".

Quando si sono accorti che lo Stato, quella roba che in Italia
significa Mafia, Massoneria, Fascismo, Chiesa, non si accontentava ma
voleva tutto, anche il Pci, ormai era troppo tardi, e sui cancelli di
Torino si consumarono i funerali del movimento operaio italiano.

Poi gli anni ’80. Quando sono cresciuto io, che quell’anno finivo 10 anni. Che culo.

Il baratro: ragiona/menti con/fusi 1

Mi sono preso qualche tempo dalla morte del lavoro, dal tritatutto della quotidianità, e provo a ragionare, confusa/mente, su quel che sta capitando ultimamente in questo cazzo di paese di merda.

Storiciziamo, come si diceva una volta, così da non perdere la prospettiva:

la crisi della "sinistra" inizia almeno nel 1993, con la svendita da parte sindacale di qualsiasi possibile battaglia salariale in nome della crisi, dell’Europa e bla bla bla (per questo vedi il bellissimo, recentissimo, importantissimo e, come sempre, illuminatissimo libro di Sergio Bologna, Ceti medi senza futuro?, DerivaApprodi). Quell’anno la trimurti sindacale decise di vendere i lavoratori in nome del paese, avendo in cambio la promessa che i padroni avrebbero investito in formazione e in tecnologia. Il risultato è stato che ora il paese è allo sfascio, l’economia è a pezzi, che siamo passati da essere il settimo paese industriale del mondo sia finiti dodicesimi o peggio (ci stava superando anche la Grecia, prima della crisi globbale).

Sticazzi, ovviamente, essere settimi o tredicesimi è fuffa neoliberista. Ma da modo di vedere come hanno lavorato i signori cialtroni nostri padroni in questi 16 anni di neoliberismo incontrollato e generalizzato, senza opposizione parlamentare reale, con quel poco di opposizione politico-sociale che ancora resisteva, e che è stata rasa al suolo nel 2001 a Genova e nel 2002 – 2008 dal suicidio di quel che rimaneva della "sinistra".

Ma partire dal 1993, a mio avviso, è limitante, perché non rende bene l’idea della profondità della morte della "sinistra", che ha radici ben più vecchie. Come raccontava sempre il buon vecchio Primo Moroni, la "vera" crisi della "sinistra" inizia nel 1979, quando l’ultima generazione operaia in rivolta entra in Fiat, a Torino, e dopo poco l’occupa. Si, l’occupa, occupa Mirafiori, come nel 1973. Ma a differenza di allora il PCI e la Cigl non sono più avversari con cui discutere, anche pesantemente, ma pur sempre su un solco comune; nel 1979 PCI e Cigl denunciano alla magistratura 61 quadri del movimento interno all’occupazione e alle lotte della Fiat, che vengono arrestati come terroristi (e dopo lunghi mesi se non anni di carcere preventivo, verranno liberati e la maggior parte di loro assolti. Una storia su tutte è quella di Ines Arciuolo, raccontata nel suo bellissimo A casa non ci torno, Stampa Alternativa). Quando l’anno dopo il peggior segretario del PCI del dopo guerra (Moroni docet), Berlinguer, si presenta ai cancelli della Fiat nel corso dei famosi 35 giorni è ormai troppo tardi: il ramo è stato segato, ma a venir già non sono solo i movimenti, ma la "sinistra" tutta, che ci stava seduta tutta. Da lì fu il diluvio: migliaia di licenziati (e chi firmò l’accordo poi, ovviamente, ha fatto carriera ed è diventato ministro nell’ultimo governo Prodi, insieme ad uno dei licenziati, pure lui ministro e segretario di uno dei tanti partitini comunistini che affollano il nulla di questi mesi), suicidi (146 casi nei primissimi mesi dopo il crollo del 1980, Cfr. G.Polo, M.Revelli,
Fiat: i relegati di reparto, Erre emme edizioni, Roma, 1992) e poi repressione, leggi speciali, carcere, una generazione rasa al suolo, etc etc.

Tra l’80 e il ’93, passando per la storica sconfitta del referendum per la scala mobile del 1985, la "sinistra", quello che ne rimane, smette di essere tale, si libera piano piano delle pastoie tipiche del "partito di massa", fatte di democrazia, circoli, sezioni, case del popolo, radicamento territoriale, per avviarsi a quello che poi sarà la svolta della Bolognina, con la morte del PCI e la nascita del PDS (Ds – Pd – Boh!), ma soprattutto con la nascita della categoria di "partito leggero" (Mussi docet). Fu allora, sempre nel 1993, che si tenne il referendum, voluto e sostenuto dal PDS dei vari D’Alema, Weltroni, Fassino, Mussi, Bersani etc etc, per introdurre il maggioritario nel sistema elettorale e, soprattutto, per fare dei sindaci dei veri e propri gerarchi, dismettendo di fatto quel po’ di democrazia che ancora vigeva tra eletti ed elettori.

1979 – 1993, la dismissione;

1994 – 2008, il consolidamento ;

2008 – ?, il nuovo fascismo.

Che effetti hanno avuto sulla società italiana almeno 16 anni (ma in realtà 30) di democrazia televisiva?

Una società che in questi 30anni è stata deteritorializzata, atomizzata (espulsione di gran parte dei cittadini dalle città verso gli immensi e
disumani hinterland, fatti di condomini alveare dove l’unica forma di
tempo libero concessa è la televisione), piallata intellettualmente con il nulla televisivo (tutto in mano ad un uomo solo, e tutto quello che non era in sintonia col Capo veniva espulso) senza che ci fosse la minima possibilità di avere, vedere, provare un’alternativa possibile seria, di massa, reale e concreta (ricordate? il partito leggero, chiusi circoli, le sezioni, le case del popolo…), che rimaneva all’Italiano Medio? Quale modello, quale cultura?

E la "sinistra", intanto?

La "sinistra" stava nei centri sociali, effimera ma splendida esperienza che per un po’ riuscì a produrre cultura altra, intelligenza, ragionamento, addirittura un discreto livello teorico di lettura del presente, grazie soprattutto ai cari vecchi strumenti operaisti; Rifondazione, che dopo essersi liberata delle vecchie cariatidi staliniste di Cossutta & C si avvicinò al movimento, almeno fino a Genova 2001 e poco più (la deprimente esperienza dei Social Forum). Strumentale, senza dubbio, ma per molti militonti rifondaroli fu una boccata d’aria fresca, la possibilità di uscire da vecchie routine centralmente democratiche, per immergersi nel sacro fuoco delle assolutamente non democratiche assemblee di movimento. E poi Genova 2001, gli scontri, il provare sulla propria pelle cos’è davvero la polizia, Carlo.

Ma era tardi, quello che non c’era più era la società, che stava altrove, con altri problemi, con altre esigenze, lontana, altra.

30anni sono tanti, quando la voce che ascolti è sempre quella, e l’alternativa balbetta, bisbiglia confusamente, e poi si tuffa sulla poltrona non appena ne ha l’occasione, alla faccia di un altro mondo possibile!