Lo s/fascio della scuola pubblica

Arcidosso, provincia di Grosseto. Zona di montagna, area economicamente depressa. Se perdi il lavoro hai 3 scelte reali, oltre alla solita italiana (essere amico di qualcuno che ti aiuta ad entrare in qualche situazione para-pubblica a calci nel culo):

  1. lavorare nei cantieri;
  2. lavorare in campagna;
  3. emigrare.

Arcidosso, Istituto Professionale “Leonardo Da Vinci”. Una scuola di montagna, non tanto grande ma coi problemi dei grandi:  molti ragazzi con disagio, parecchi stranieri arrivati da poco o da pochissimo. Un corpo docenti compatto e una dirigenza il cui scopo principale è far crescere gli studenti. Classi non tanto grandi, molti progetti, la possibilità di insegnare e studiare come si deve.

Tutte cose che non vanno bene nella nuova strabiliante riforma di Mary Star, il reggimoccolo del capo del governo, il boscaiolo tremebondo Tremonti.

Infatti quest’anno arrivano le grandi novità: se con lo stesso numero di ragazzi l’anno scorso si facevano due classi, con la “riforma” quest’anno diventano una di 32 ragazzi, di cui 4 diversamente abili (e un solo insegnante di sostegno per area), 10 stranieri di 6 nazionalità diverse.

E la didattica? ‘Fanculo la didattica, questi sono asini del professionale, sono animali, mica ragazzi. Devono sucarsi quel che dice il Capo, stare zitti e buoni, imparare un mestiere il più possibile ignorante e disumano, imparare a lavorare ed obbedire, e che non rompano tanto i coglioni.

Quest’anno su 40.000 insegnanti che sono usciti dalla scuola tra pensioni e pre-pensionamenti, ne sono entrati 17.000. Il sostegno è stato ridotto di 1/3. Siamo penultimi tra i paesi OCSE per percentuale del PIL dato all’istruzione (dietro di noi solo la Slovacchia, ma è una nazione nuova e povera, ci supererà presto).

http://www.youtube.com/watch?v=IsplyNMT9i8

Morale della favola? Se hai i soldi vai nelle scuola private – le uniche ad aver ricevuto finanziamenti statali; se non li hai, fatti il mazzo, pedala, altrimenti – come ha detto l’altro ieri Tremonti, c’è sempre l’emigrazione…

Il tutto nell’assordante silenzio dell’opposizione (stavo per dire “sinistra”, ma il buon gusto mi ha fermato…).

PS

Com’è che si chiamava? Don Milani mi pare …

Sergio Bologna: ma dove cazzo eravate in questi ultimi quindici anni?

Oggi su il manifesto, sezione posta a pag. 10, c’è una lettera del sempre splendido Sergio Bologna. Eccola di seguito:

"Com’è bello sentire il cuore del «popolo di sinistra» pulsare così forte per gli operai di Pomigliano, inalberare ancora la bandiera dell’art. 1 della Costituzione, ergere il petto contro gli attacchi al diritto di sciopero! Che spettacolo di virtù civiche e di democrazia! Poi ci viene un dubbio: ma dove cazzo eravate in questi ultimi quindici anni? Davanti ai videogiochi? Non vi siete accorti che il diritto di sciopero non esiste di fatto per più di un milione (1.000.000) di precari e di lavoratori autonomi da un bel po’ di tempo

Quelle migliaia di giovani laureati che lavorano gratis nei cosiddetti tirocinii, hanno diritto di sciopero quelli? Messi insieme fanno dieci Pomigliano. C’è un’intera generazione che è cresciuta  senza conoscere diritto di sciopero, né cassa integrazione, né sussidio di disoccupazione, niente. «Bamboccioni» li ha chiamati un ministro (di centro-sinistra ovviamente). Ma tornate davanti alla tele a guardarvi Santoro! Raccontatevi barzellette su Berlusconi, leggetevi Repubblica come la Bibbia, che altri in difesa della democrazia e del lavoro non sapete fare!".

C’è altro da dire? Si, manca un sereno e determinato "andate a tutti a fare in culo!".

Amen.

Stampa Alternativa, ci risiamo coi fascisti

Ci risiamo, dopo aver aspettato che le acque si calmassero dopo l’appuntamento mancato con i ratti di casapound (vedi questo, quest’altro e quest’ultimo articolo), il buon Marcello Baraghini, triste patron della storica casa editrice Stampa Alternativa, torna alla carica del suo nuovo target editoriale: i più fetenti neofascisti, sicuramente un pubblico più grande e ricco in questa miserrima italietta berlusconiana. Come? Ma pubblicando libercoli immondi e revisionisti, a partire da questo sul Che:

Mario La Ferla, L’ALTRO CHE. Ernesto Guevara mito e simbolo della destra militante

Non l’ho letto – e non intendo leggerlo – ma mi sono avvalso e fidato della recensione di Antonio Moscato, uno dei più seri ed equilibrati studiosi della Cuba rivoluzionaria, critico impietoso e libertario. Di seguito, dal manifesto di ieri:

Antonio Moscato

Che Guevara, un comunista a Casa Pound

Non è sorprendente che i fascisti di Casa Pound cerchino di
appropriarsi del «mito del Che». Il 9 ottobre «celebreranno» la morte
di Guevara presentando un libro di Mario La Ferla, L’altro Che. Ernesto
Guevara, mito e simbolo della destra militante (Stampa Alternativa,
Roma, 2009) con la partecipazione di oratori anche «di sinistra», ma
non dell’autore (la casa editrice pare non voglia)). Presentarsi a
volte come rivoluzionaria, è una vecchia tecnica della destra, dal
fascismo «diciannovista» di Mussolini in poi. Stavolta non fanno
nessuna fatica a utilizzare il libro di Mario La Ferla, che parla del
Che per poche pagine (con sviste e sfondoni vari), e per il resto è una
rifrittura di luoghi comuni su Catilina, D’Annunzio, Pavolini,
Bombacci, Perón, il «nazional-bolscevico» Limonov, ecc. Tra i suoi
«autori» c’è perfino quell’Andrea Insabato, che mise una bomba al
manifesto.
La
Ferla è stato spinto a occuparsi di Guevara da un articolo di Gabriele
Adinolfi
, presentato nel libro in termini apologetici. Si capisce
perché: l’autore ha semplicemente scaricato la presentazione del
terrorista nero fondatore di Terza posizione dal suo sito. Il libro
rivela poche e superficiali letture, segnalate alla rinfusa, tra cui
spicca Alvarito Vargas Llosa. A Casa Pound non si sono sbagliati quindi
a invitare La Ferla. Glielo lasceremmo proprio volentieri. Ma Guevara
no. La Ferla tenta di accreditare un Che di destra perché «influenzato
da Perón», di cui evidentemente non sa nulla, e che considera tout
court fascista. Un contatto diretto tra i due vi fu, non durante il
viaggio del 1959 nei paesi ex coloniali, come scrive, ma nel 1964, e
aveva ben altro senso. Era stato preparato da molti peronisti di
sinistra che si addestravano a Cuba (e che formeranno i montoneros). La
direzione cubana aveva offerto allora senza successo a Perón, ancora
appoggiato da gran parte della classe operaia argentina, di trasferirsi
a Cuba per preparare un ritorno di lotta. L’ambiguità di Perón si
doveva chiarire – con la tragica svolta a destra – solo dopo il suo
ritorno in patria – v. «Quaderno n. 3» della fondazione Guevara, con
preziose testimonianze di argentini. Era comunque inverosimile che
Perón avesse presentato il Che a Boumedienne: il rapporto di Guevara
con l’Algeria era strettissimo, ma con Ben Bella, con cui c’era una
sintonia profonda. Il colpo di Stato di Boumedienne parve e fu una
catastrofe per l’impresa congolese in preparazione.
La vera
incompatibilità tra i fascisti di qualunque genere e il Che nasce dalle
caratteristiche essenziali del pensiero e dell’azione di Guevara. Prima
di tutto dal suo internazionalismo, al tempo stesso etico (sentire
sulla propria guancia lo schiaffo dato in qualsiasi parte del mondo) e
materialista (stabilire intese con altri paesi produttori di zucchero,
per evitare di farsi la concorrenza). Altrettanto lontano dal fascismo,
anzi anti-fascista, il suo «dobbiamo saper essere duri senza perdere la
tenerezza», che difendeva come inevitabili le misure di autodifesa di
una rivoluzione uscita da una lotta feroce, ma vigilava contro i
pericoli di involuzione autoritaria. Esemplare un discorso severissimo
del ’62 ai membri della Seguridad contro la tendenza a inventarsi
nemici.
Altra caratteristica del Che, che lo rendeva diversissimo
sia dai politici borghesi (democratici o fascisti)sia da quelli del
«socialismo reale», era l’assenza di ogni indulgenza per i propri
errori, in cui ricercava la prima causa di ogni male.
Ma basterebbe
l’internazionalismo del Che a ridicolizzare ogni pretesa di annetterlo
al fascismo. Un internazionalismo che presto rifiuta ogni «campismo», e
cerca legami diretti con i movimenti di liberazione, non con gli Stati,
e anzi ne vuole controbilanciare l’influenza. Basterebbe aver letto il
Messaggio alla Tricontinentale e il Discorso di Algeri, con le sue
critiche severe ai «paesi socialisti», per capirlo. Va detto con
tristezza che gran parte della sinistra, anche quando rende omaggio al
Che, ne ignora questa dimensione. E a chi cerca di annetterselo come
«fascista di sinistra», raccomandiamo la lettura di un testo
emozionate, e attualissimo, Lettera ai giovani comunisti (vedi
http://antoniomoscato.altervista.org/)
È vero che c’era anche chi
cantava «il Che Guevara ci piace sì, perché invece di parlare spara»;
se il Che fosse stato solo questo, ogni annessione sarebbe possibile.
Ma Guevara non si limitava a sparare, parlava, anche se inascoltato
(anche a Cuba), per la sua lungimirante riflessione sulla crisi
imminente di quello che si sarebbe arrogantemente proclamato il
«socialismo reale»: una critica da un punto di vista marxista.
Guevara
non era un generico ribelle. Anche se non grande pensatore come Lenin,
Rosa Luxemburg o Trockij, è stato un grande riscopritore del marxismo
critico «senza calco né copia». E non era facile, dopo decenni di
mistificazioni socialdemocratiche e staliniste.

Un eroe nazional… fascista e l’ipocrita retorica italiota

Leggo in una lettera a "il manifesto" che il caporalmaggiore
Giandomenico Pistonami, ucciso in un attentato a Kabul pochi giorni fa,
era iscritto al gruppo di Facebook "Partito
Nazionale Fascista" (che fa schifo pure parlarne così direttamente, che
si rischia di fargli pubblicità, a questi cancri della storia).

Prima di parlarne urge una verifica, quindi vado a farmi una mail adeguata, con quell’account mi iscrivo a facebook, mi faccio un po’ di "amici", mi iscrivo ad un tot di gruppi – tutti fascistissimi, ovviamente – tra cui il famoso parito nazionale fascista e mortacciloro, e varia altra merda.

Se si fa a vedere il profilo del nostro caporalmaggiorde, si può vedere
tra i "suoi amici", Casa Pound (vedi la parentesi sopra), uno dei
peggiori gruppi neofascisti italiani, tra i più attivi e tra i più
duri, vedi le mazzate tirate agli studentelli in P.zza Navona l’anno scorso, durante "l’Onda", e che buona parte dei suoi amici di facebook sono fascisti più o meno convinti e più o meno incarogniti.

Poi si "scopre" che le bombe che hanno ucciso i 6 militari italiani erano di fabbricazione italiana.

Infine infuria la polemica su quelle scuole che non hanno fatto il minuto di silenzio in "onore" delle 6 vittime.

Che dire di tutto ciò, cose apparentemente slegate tra di loro? Che viviamo in un paese incarognito, imbarbarito come non era da decenni, che la cultura media della gente media sta precipitando là dove nessuno avrebbe mai potuto pensare, che le Istituzioni sono ormai brodo di cultura di mafia e malaffare – quando va bene – e di fascismo – di solito – e che la Retorica, l’Ipocrisia, l’Ignoranza sono ormai padrone assolute della scena sociale e politica della maggior parte delle persone.

L’Italia è in guerra – ormai l’hanno capito anche gli stupidi, tanto che ne scrivono pure i fascisti del Partito sulla loro bacheca – e va a combattere coloro che sono stati addestrati dagli USA e armati dalle aziende di armi Italiane. Che sta gente, gli afgani, una volta fatto il loro – cacciare i sovietici a calci in culo – dovevano tornare al loro posto, cioè a cuccia, perché quelle terre sono di importantissima rilevanza strategica per quel che riguarda le strade del petrolio e del gas russi. Che l’esercito italiano è lì al serivizio dell’industria petrolifera italiana, che chi ci va sono soldati volontari stra pagati e spesso fascisti, si spera non sempre ma non stupirebbe. Che quando qualcuno di loro muore – è normale che accada, sono in guerra… – guai a non venerarli e ad adorarli come "eroi", i "nostri eroi", e chi non lo fa, punizione!!

E alla fin fine, tanto per essere cinici e pessimisti fino in fondo, alla fine insomma, se ci possiamo permettere di essere ricchi e grassi quali siamo, noi italiani, noi occidentali, è perché abbiamo in giro per il mondo tutti i nostri eserciti a depredare le ricchezze di tutto il mondo.

Affanculo.

Marcello Baraghini fa marcia indietro

Scopriamo con gioia che oggi Marcello Baraghini ha deciso di tornare sui suoi passi e di non presenziare all’iniziativa del 10 dicembre a Casa Pound.

Baraghini ha dichiarato di essere stato costretto a rinunciare dalla
"levata di scudi" che avrebbe pregiudicato l’esistenza della stessa
casa editrice. Ci complimentiamo con le molte persone che in questi
tempi bui hanno pensato che levare gli scudi valga ancora a qualcosa e
ringraziamo tutte le firmatarie e i firmatari della lettera aperta.
A volte si può restare sorpresi anche nelle epoche più cupe. Ci
auguriamo che, oltre a fare marcia indietro, Baraghini rifletta su
quanto è accaduto e capisca che se lui oggi si sente "un po’ meno
libero", di questi tempi chiunque nutra idee alternative, propagandate
anche dalla sua casa editrice, si sente molto poco libero di fronte al
dilagare dei picchiatori fascisti, più o meno travestiti da bei giovani
avvenenti.

Lettera aperta a Marcello Baraghini: Stampa Alternativa nella tana del Lupo

È prevista per il 10 dicembre la partecipazione di Marcello Baraghini,
storico editore di Stampa Alternativa, a una serata nel centro sociale
nazifascista Casa Pound.

Non riusciamo proprio a tacere. Per aderire firmando segui questo link.

Questa non è una pipa. (René Magritte, 1948)

Questi non sono picchiatori nazifascisti, ma interlocutori credibili. (Marcello Baraghini?, 2008)

 

Caro Baraghini,
è inverno, nevica e abbiamo deciso di raccontarti una storia.
C’era una volta Cappuccetto Rosso, che andò nel bosco, incontrò il
lupo, gli disse dove abitava la nonna e lui per tutto ringraziamento si
pappò la nonna in questione con tutta la cuffia, la camicia da notte e
gli occhiali. Il lupo, è evidente, è un vero stronzo. Anzi no: il lupo
è un lupo. Non è lecito, non è intelligente, non è possibile aspettarsi
che si comporti da farfalla.
Ora, andando a vedere bene, il lupo potrebbe pure essere un ragazzone
charmant e piuttosto brillante (d’altronde Cappuccetto Rosso se l’è
intortata mica male), ma alla fine purtroppo c’è sempre quel finale
sgradevole: il lupo è lupo, e alla fine la nonna se la pappa.
Se vogliamo trovare il taglio sociologico, possiamo pure arrivare a
dire che il lupo ha avuto un’infanzia difficile, che sua mamma l’ha
abbandonato, che forse ha bisogno di affetto.
Sia quel che sia, alla fine la nonna se la pappa.
Va detto che il lupo è anche un ecologista convinto, che gli fa onore
l’impegno per la difesa del bosco in cui vive e che a volte, a
primavera, è stato visto intrecciare deliziose collane di fiori.
Ma sia quel che sia, alla fine la nonna se la pappa.
Insomma, se sei una nonna, puoi trovare un sacco di cose che ti
attraggono nel lupo, ma – forse – non è comunque una frequentazione
apprezzabile. I lupi delle favole, caro Baraghini, possono presentarsi
bene, essere molto intellettuali, dichiararsi disponibili al confronto,
mostrarsi affascinanti e avere grandi baffi che gli nascondono le
zanne, ma lupi sono e lupi restano. Sempre.
I lupi delle favole sbranano, prevaricano, disprezzano i deboli, gli
emarginati, i diversi, gli alternativi. Magari prima li seducono, ma
poi, prima o poi, inevitabilmente rispuntano le zanne. Esattamente come
i nazifascisti.
Vedi, caro Baraghini, noi lo capiamo che Casa Pound è un luogo che può
scatenare curiosità. Lo capiamo che il primo impatto non è la
marionetta del naziskin cerebroleso che non ha altre possibilità
dialettiche se non quelle consentite dai palmi delle sue mani o dalle
nocche dei suoi pugni: ma sotto sotto, e nemmeno troppo sotto, c’è il
solito vecchio lupo che alla fine la nonna se la pappa, anche stavolta.

Con i lupi, Baraghini caro, non si flirta. E non perché si abbia paura
della dialettica (noi? Andiamo!), non perché non ci si possa sporcare
le mani, non perché non si debba avere il coraggio del confronto con
chi è diverso da noi, ma semplicemente perché la tua presenza – non la
tua presenza personale, ché quella sarebbe cosa tua, ma la tua presenza
pubblica di editore, pubblicizzata e rivendicata fino allo stremo − dà
valore a un luogo di disvalori. Perché Casa Pound parlerà anche di
mutui sostenibili, di antiglobalizzazione, di banche vampiro: ma dopo
compaiono le zanne. La gente di Casa Pound è quella che pesta i
ragazzini in piazza Navona, è la destra nazifascista che nega la
libertà di interrompere volontariamente una gravidanza, che riscrive la
storia, che disprezza gli stranieri e che ospita entusiasticamente
concerti che celebrano a suon di saluti romani tutta la solita feccia
del ventennio applicandola all’oggi. Magari fossero solo quattro
nostalgici! Purtroppo sono fin troppo attivi sull’oggi, e dietro ai
sorrisi e agli incontri culturali le zanne ben affilate sono quelle di
sempre. Se sono riusciti a intortarsi te, pensa come si intortano gli
altri. Non permettere loro di fare altra strada camminando anche sulle
tue gambe, grazie anche alla tua storia (che, se non fosse a sua volta
parte della nostra, non ci troverebbe qui a cercare di farci
ascoltare), alla tua fama e alla tua cultura. Un lupo è sempre un lupo,
Marcello: e tu non fare Cappuccetto Rosso. Sii piuttosto Alice che
guarda dietro le parole, o meglio ancora sii quello che a lungo sei
stato: il bambino nel corteo del re che grida da sempre che il re è
nudo.

Post scriptum: L’idea della pipa di Magritte viene da un recente
volantino dell’Avamposto degli Incompatibili di Viterbo e dello Spazio
di documentazione il Grimaldello di Genova riguardante la sentenza Diaz
e ci sembra una delle idee che meglio rendono la lontananza tra realtà
e racconto della medesima. Lontananza che oggi sembra dilagare senza
controllo. Grazie.

Primi firmatari:

Andrea Baglioni – lettore
Ilic Barocci – lettore
Chiara Battocchio – lettrice
Francesco Bellissimo – lettore
Blackswift – collettivo di scrittori
blicero – lettore
Piero Budinich – traduttore editoriale
Layla Buzzi – liutaia
Daniela Cabrera –  Freelance Translator, Member of Translators for Peace – Fontenay-aux-Roses, Francia
Antonio Caronia – Accademia di Brera – Milano
Sara Cecere – traduttrice
Flavia Cerrone – traduttrice freelance
Luisa Doplicher – traduttrice editoriale
Alfredo Fagni – lettore – Livorno
Raffaella Fort – lettrice – Trieste
Carlo Frinolli – art director nois3lab – Roma
Valentina Furnari – traduttrice freelance – Milano
Valeria Galassi – lettrice – Milano
Istituto Ernesto de Martino – Centro di ricerca sul mondo popolare e
proletario – S. Fiorentino (Fi)
killer – lettore
Martino Lo Bue – lettore – Fontenay-aux-Roses, Francia
Fiamma Lolli – traduttrice editoriale
Alessandro Lubello – redazione Internazionale – Roma
Antonio Menegotto – lettore – Padova
Floriana Pagano – traduttrice editoriale
Marina Pagliuzza – lettrice – Milano
Chiara Pazienti – traduttrice freelance – Roma
Marco Philopat – scrittore
pinna – lettore
Brunella Pinto – Precaria
Federico Prando – lettore – Milano
Arlette Remondi – lettrice – Trieste
Oscar  Romagnone – Traduttore Freelance
sens.it – artista
Roberta Amal Serena – lettrice – Roma
uomonero – lettore
Giuseppina Vecchia – traduttrice
Franco Vite – lettore – Cinigiano (Gr)

La legge è uguale per tutti

Quella è la frase che leggiamo tutte le volte che entriamo in un
tribunale, o che vediamo alla televisione quando passano immagini di tribunale.

Non
ci dovrebbe essere bisogno di spiegare che è una balla. Qualsiasi
persona dotata di un minimo di intelligenza critica dovrebbe sapere,
probabilmente per averlo provato sulla propria pelle, che la legge è
uguale per tutti, ma c’è chi è più uguale degli altri.

Onestamente
non ho voglia di fare esempi, ché per me è finito il tempo della
pedagogia, non ne ho più voglia. Ma dovrebbe bastare dire "Porto
Marghera" , "Amianto", "Diossina", "Camorra", "Mafia", "Piazza
Fontana", "Piazza della Loggia", "Italicus", e bla bla bla.

Da ieri sera abbiamo un altro nome da mettere tra "", ed è "Scuola Diaz".

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Tabula rasa parlamentare: un’occasione da non perdere

Beh, se ci si mette nero a fare il commentatore parlamentare, io che so’, da meno!? 🙂

Intanto diciamolo, in un mio recente post sono stato piuttosto cassandrico (non che ci volesse troppo, n’è!), ma rimane il fatto che, al di là delle sboronate post, pochi si aspettavano che comunisti e socialisti rimanessero fuori dal parlamento dopo 63 anni.

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Promozioni 2

Scrivevo qualche tempo fa  delle promozioni dei solerti tutori dell’ordine protagonisti della macelleria messicana di Genova 2001.

Stamani,
come faccio sempre a colazione, mi guardo il televideo
(classico esempio di autolesionismo) e leggo nelle pagine economiche:

SALARI:PERSO IN 5 ANNI 10% POTERE D’ACQUISTO

Oltre il 10% in meno in 5 anni. La perdita del potere d’acquisto dei salari sta assumendo proporzioni sempre più evidenti. Le retribuzioni da lavoro dipendente, infatti, non tengono il passo dell’inflazione, almeno in termini reali. Su 13.000 euro annue, 1.000 euro nette per 13 mensilità, rispetto a dicembre 2006 si sono persi 250 euro l’anno, che diventano 1.395 rispetto al dicembre del 2002.

Questo è quanto emerge da un’indagine Adnkronos che rielabora calcoli di OD&M su dati ufficiali Istat. La perdita del potere d’acquisto è costante negli ultimi 5 anni: -1,9% rispetto al 2006 e -10,7% rispetto al 2002.
 

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