Mela marcia. La mutazione genetica di Apple

Mela marcia

La mutazione genetica di Apple

di NGN

Mela marcia
Mela marcia

Hanno sfondato la porta di casa con la furia devastatrice delle teste di cuoio. Hanno rovistato nell’appartamento del blogger californiano Jason Chen sequestrando computer e archivi. Il tutto per venire a capo del giallo della scomparsa di un segretissimo prototipo di iPhone 4, dimenticato in un bar “per una birra di troppo”.

Nata in un garage con la bandiera dei pirati sventolante, creata da un ex hippy e da un hacker, oggi Apple lancia strali contro i software liberi, promuove crociate antiporno e dichiara dissanguanti guerre di brevetti. Sullo sfondo pulsano la guerra dei formati, del web e delle libertà digitali. Apple non è più l’azienda dei creativi che anni fa ci esortava con il Think Different, ma il peggior nemico dell’underground digitale, come dimostra il blitz contro il blogger di Gizmodo che ha realizzato lo scoop dell’anno: le foto in anteprima dell’iPhone 4G. Mela Marcia parte da questa vicenda per sviscerare cosa si nasconde dietro alla mutazione di Apple: la mania della segretezza, l’astuto ruolo del messia laico Steve Jobs, il potere del marketing aggressivo e il bluff dell’iPad. Il volume è completato dalla storia del giornalismo 2.0 nell’era di blogger coraggiosi e di “gossip merchant”.
Mela marcia è anche un libro interattivo: grazie ai codici QR sparsi nel testo è possibile accedere ad approfondimenti e filmati in rete, tramite uno smartphone e un’applicazione (rigorosamente free).

NGN è formato da
Ferry Byte, cyber-hacktivist della prima ora, fondatore della mailing list Cyber Rights. È autore di I motori di ricerca nel caos della rete.
Mirella Castigli scrive su Pc Magazine, Computer Idea e ITespresso.it dal 2000.
Caterina Coppola, editor di Gizmodo Italia e giornalista presso la redazione di Gay.it.
Franco Vite, storico ed esperto di GNU/Linux, tiene corsi sui software liberi.

128 pp. – Illustrato

ISBN 978-88-95029-40-5

Questo libro non finisce qui. È un continuo work in progress pensato per non restare chiuso tra due copertine, ma per continuare a raccontare storie (di Apple, ma anche di moltissime altre aziende, realtà e situazioni dell’IT) di cui di solito non si parla.
Per sapere come continua la storia andate su nessungrandenemico.org

Lo s/fascio della scuola pubblica

Arcidosso, provincia di Grosseto. Zona di montagna, area economicamente depressa. Se perdi il lavoro hai 3 scelte reali, oltre alla solita italiana (essere amico di qualcuno che ti aiuta ad entrare in qualche situazione para-pubblica a calci nel culo):

  1. lavorare nei cantieri;
  2. lavorare in campagna;
  3. emigrare.

Arcidosso, Istituto Professionale “Leonardo Da Vinci”. Una scuola di montagna, non tanto grande ma coi problemi dei grandi:  molti ragazzi con disagio, parecchi stranieri arrivati da poco o da pochissimo. Un corpo docenti compatto e una dirigenza il cui scopo principale è far crescere gli studenti. Classi non tanto grandi, molti progetti, la possibilità di insegnare e studiare come si deve.

Tutte cose che non vanno bene nella nuova strabiliante riforma di Mary Star, il reggimoccolo del capo del governo, il boscaiolo tremebondo Tremonti.

Infatti quest’anno arrivano le grandi novità: se con lo stesso numero di ragazzi l’anno scorso si facevano due classi, con la “riforma” quest’anno diventano una di 32 ragazzi, di cui 4 diversamente abili (e un solo insegnante di sostegno per area), 10 stranieri di 6 nazionalità diverse.

E la didattica? ‘Fanculo la didattica, questi sono asini del professionale, sono animali, mica ragazzi. Devono sucarsi quel che dice il Capo, stare zitti e buoni, imparare un mestiere il più possibile ignorante e disumano, imparare a lavorare ed obbedire, e che non rompano tanto i coglioni.

Quest’anno su 40.000 insegnanti che sono usciti dalla scuola tra pensioni e pre-pensionamenti, ne sono entrati 17.000. Il sostegno è stato ridotto di 1/3. Siamo penultimi tra i paesi OCSE per percentuale del PIL dato all’istruzione (dietro di noi solo la Slovacchia, ma è una nazione nuova e povera, ci supererà presto).

http://www.youtube.com/watch?v=IsplyNMT9i8

Morale della favola? Se hai i soldi vai nelle scuola private – le uniche ad aver ricevuto finanziamenti statali; se non li hai, fatti il mazzo, pedala, altrimenti – come ha detto l’altro ieri Tremonti, c’è sempre l’emigrazione…

Il tutto nell’assordante silenzio dell’opposizione (stavo per dire “sinistra”, ma il buon gusto mi ha fermato…).

PS

Com’è che si chiamava? Don Milani mi pare …

Dell’omicidio di Giorgiana Masi e del suo mandante, Kossiga (boia!)

Giorgiana Masi

Giorgiana Masi
Giorgiana Masi

In questi giorni di lutto bipartisan, come si dice oggi – che in italiano popolare si può comodamente tradurre in “paraculo” – abbiamo sentito, anzi, avete sentito dire quanto era bravo e buono ed illuminato e colto e profondo e potente quel pezzo di merda di Francesco “Boia” Kossiga.

Non servirà a nulla, ma voglio dilettarmi in un delle mie più antiche passioni, e cioè la storia, ed in particolare la storia dei movimenti negli anni ’70.

Una di queste possibili storie è quella di Giorgiana Masi, giovane femminista simpatizzante dei Radicali (allora era possibile, per quanto oggi possa apparire incredibile ad un giovane…), che decise, il 12 maggio 1977, di partecipare ad una manifestazione non autorizzata dal ministro dell’interno, giust’appunto Francesco “Boia” Kossiga. Non autorizzata come tutte le altre possibili nella capitale, dopo la morte dell’agente Passamonti in alcuni scontri di piazza.

Maggio ’77, quindi, in pieno “governo delle astensioni”, monocolore Dc guidato dal mafioso Andreotti Giulio grazie all’astensione in parlamento dei Compagni del Partito Comunista Italiano (a noi!).

Fin dal primo pomeriggio la tensione è molto alta. A quanti difendono il diritto di manifestare con brevi cortei e fortunose barricate, le forze di polizia rispondono sparando candelotti lacrimogeni e colpi di arma da fuoco. Anche numerosi fotografi, giornalisti, passanti e il deputato Mimmo Pinto sono picchiati e maltrattati. Con il passare delle ore la resistenza della piazza si fa più decisa, e vengono lanciate le prime molotov. Mentre nelle strade sono in corso gli scontri, i parlamentari radicali protestano alla Camera contro le aggressioni e le violenze della polizia, fra gli insulti di quasi tutte le forze politiche. Mancano pochi minuti alle 20 quando, durante una carica, due ragazze sono raggiunte da proiettili sparati da Ponte Garibaldi, dove erano attestati poliziotti e carabinieri. Elena Ascione rimane ferita a una gamba. Giorgiana Masi, 19 anni, studentessa del liceo Pasteur, viene centrata alla schiena. Muore durante il trasporto in ospedale”.

(http://www.reti-invisibili.net/giorgianamasi/)

Sono subito chiare le responsabilità delle forze del dis/ordine, polizia in testa – e quindi ministero dell’interno, e subito il clima si intorbidisce grazie a silenzi, omertà e tutta la merda vile e fascista tipica delle istituzioni italiane in quegli anni e non solo.

Tutto ciò non basterà, per fortuna, a fermare la verità storica, ormai appurata grazie a testimonianze dirette, foto e video.

Le chiare responsabilità emerse a carico di polizia, questore, Ministro dell’Interno, porteranno il governo a intessere una fitta trama di omertà e menzogne. Cossiga, dopo aver elogiato il 13 maggio in Parlamento “il grande senso di prudenza e moderazione” delle forze dell’ordine, modificherà più volte la propria versione dei fatti. Costretto dall’evidenza ad ammettere la presenza delle squadre speciali – tra gli uomini in borghese armati furono riconosciuti il commissario Gianni Carnevale e l’agente della squadra mobile Giovanni Santone – continuerà però a negare che la polizia abbia sparato, pur se smentito da vari testimoni e dalle inequivocabili immagini di foto e filmati”.

( http://www.reti-invisibili.net/giorgianamasi/)

Emergono così le vicende delle squadre speciali di Kossiga (boia!), agenti di polizia camuffati da sbirri, che pistole alla mano iniziano a sparacchiare ad altezza d’uomo.

Un video dei radicali sarà ancora più chiaro, con nomi e cognomi e la viva (allora) voce del ministro dell’interno, Francesco “Boia” Kossiga:

Mi fermo, non c’è bisogno di dilungarsi su questa storia, ampiamente e efficacemente  racconta sulla rete, con foto e dovizia di particolari. Mi accontenterò di qualche link.

Lascio con le parole illuminanti del Presidente, come tutti lo chiamano, rilasciate nel 2008 al Quotidiano Nazionale durante le proteste del movimento studentesco dell’Onda:

“Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand’ero ministro dell’Interni. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri. Le forze dell’ordine dovrebbero massacrare i manifestanti senza pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli a sangue e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano. Soprattutto i docenti. Non quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì”.

(http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2008/10/23/%C2%ABvoglio-sentire-il-suono-delle-ambulanze%C2%BB/)

Purtroppo è morto… solo ora, e senza soffrire neanche un minimo di quello che avrebbe meritato.

7 luglio 1960: per non dimenticare i morti di Reggio Emilia

 

La sera del 6 luglio la CGIL reggiana, dopo una lunga riunione (la linea della CGIL era sino a quel momento avversa a manifestazioni politiche) proclama lo sciopero cittadino. La polizia ha proibito gli assembramenti, e le stesse auto del sindacato invitano con gli altoparlanti i manifestanti a non stazionare. Ma l’unico spazio consentito – la Sala Verdi, 600 posti – è troppo piccolo per contenere i 20.000 manifestanti: un gruppo di circa 300 operai delle Officine Meccaniche Reggiane decide quindi di raccogliersi davanti al monumento ai Caduti, cantando canzoni di protesta. Alle 16.45 del pomeriggio una violenta carica di un reparto di 350 celerini al comando del vice-questore Giulio Cafari Panico investe la manifestazione pacifica: "Cominciarono i caroselli degli automezzi della polizia. Ricordo un’autobotte della polizia che in piazza cercava di disperdere la folla con gli idranti", ricorda un testimone, l’allora maestro elementare Antonio Zambonelli. Anche i carabinieri, al comando del tenente colonnello Giudici, partecipano alla carica. Incalzati dalle camionette, dalle bombe a gas, dai getti d’acqua e dai fumogeni, i manifestanti cercano rifugio nel vicino isolato San Rocco, "dove c’era un cantiere, ricorda un protagonista dei fatti, Giuliano Rovacchi. Entrammo e raccogliemmo di tutto, assi di legno, sassi…". "Altri manifestanti, aggiunge Zambonelli, buttavano le seggiole dalle distese dei bar della piazza". Respinti dalla disperata sassaiola dei manifestanti, i celerini impugnano le armi da fuoco e cominciano a sparare: "Teng-teng, si sentiva questo rumore, teng-teng. Erano pallottole, dice Rovacchi, e noi ci ritirammo sotto l’isolato San Rocco. Vidi un poliziotto scendere dall’autobotte, inginocchiarsi e sparare, verso i giardini, ad altezza d’uomo".

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La strada bruciata delle magliette a strisce

di Marco Philopat su Carmilla on line

rivolta a striscie_piccola.jpgSono
passati esattamente cinquant’anni dalla rivolta dei ragazzi in
maglietta a strisce scesi piazza a Genova per impedire un congresso di
neofascisti. Un convegno voluto anche dall’allora governo del
democristiano Tambroni, che da pochi mesi era diventato presidente del
Consiglio grazie ai 14 voti dei parlamentari dell’Msi. La determinazione
dei manifestanti fecero fallire quel tentativo di sdoganare, per la
prima volta dal dopoguerra, gli eredi del tragico ventennio. Quel
convegno fu infatti annullato. Nell’estate del 1960 ci fu un terremoto,
di quelli imprevisti, violento e allo stesso tempo liberatorio. In prima
fila negli scontri di piazza, da Genova a Catania, da Reggio Emilia a
Palermo, da Roma a Bologna, c’erano giovani sui vent’anni, operai figli
di operai che pagarono cara la loro voglia di farsi sentire. La pagarono
con il sangue. In undici rimasero sull’asfalto, crivellati dalle
sventagliate dei mitra e dai colpi di pistola. Altre centinaia finirono
in ospedale o sul banco degli imputati come pericolosi sovversivi e
condannati a scontare anni di carcere. Sapevano di rischiare grosso
eppure scesero in piazza convinti che andasse fatto, che quello era il
loro dovere, l’unico modo per dire no al ripetersi della storia. Per
questo motivo i ragazzi con le magliette a strisce rimasero impresse nel
mio cervello appena ne venni a conoscenza.

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La rivista “Primo Maggio” è on-line

La casa editrice DeriveApprodi ha da poco pubblicato un testo fondamentale per chiunque abbia ancora voglia di mettere seriamente in discussione lo stato di cose presenti. Questo testo è, a cura di Cesare Bermani e La rivista Primo Maggio (1973 – 1979), pag. 176 per 20 €.

Fondamentale, questa pubblicazione, sia per i bei interventi ivi contenuti – che ci raccontano e ci spiegano la nascita, lo sviluppo e le tante particolarità di questa fondamentale rivista – ma anche e soprattutto perché nel dvd allegato si trovano tutte le annate (tutte) della rivista, più altro materiale.

Un testo sicuramente più che consigliato, ma se proprio non vi fidate, allo potete andare a sfogliare il contenuto del dvd che è stato messo on-line. Non dalla casa editrice, che si sà, i Compagni non condividono i saperi e le loro cose sono strettamente sotto copyright – e guai a provare a metterlo in discussione! –  ma da colui o colei o coloro che hano messo su – lode ad essi! – il sito http://www.autistici.org/operaismo. 

Costoro comprano (o rubano, non lo so) i testi di DeriveApprodi, estraggono il contenuto del dvd e lo pubblicano sul sito di cui sopra. Lo stesso hanno fatto col dvd allegato al libro in questione e lo hanno schiaffato qui:

http://www.autistici.org/operaismo/PrimoMaggio/

Buona lettura! 😀

Marazzi e morti ammazzati

In un paese culturalmente arretrato come il nostro, soprattutto dal punto di vista sessuale (e come poteva essere altrimenti, siamo occupati dal Vaticano!), non stupisce che il grosso della comunicazione politica di questi mesi sia incentrato sui divertimenti goderecci, sui pruriti di alcuni nostri politici: il Presidente del Consiglio prima, quello della Regione Lazio ora; ma chi lo scorda il mitico et cattolicissimo Mele, antesignano di tutto ciò, un uomo che veramente era avanti!
In un paese colonizzato mediaticamente come il nostro, non stupisce neanche che l’altro grande argomento collegato a questi fatti, l’uso intensivo di cocaina nei sexy party di cui sopra, sia appena accenato, e via. Sciocchezzuole.
Tanto nelle vicende berlusconiane che in quelle marazziane, oltre al sesso a pagamento non mancava mai una spolverata – e consistente – di polvere bianca. D’altronde, poretti, con quanto lavorano, quando poi vogliono andare a svuotarsi i coglioni se non pippano un po’ col cazzo che gli tira. E scusate i francesismi.

Di fondo me ne fotterei di tutto sto po po di porcile: non mi stupisce, mi fa un po’ schifo, ma tutto sommato sono normalissime scene da fine dell’impero romano.

Non fosse che la gente muore.

Non il miliardo di morti di fame dei vari terzi, quarti e quinti mondi, che quello è normale. E manco i profughi sui barconi, che pure quello è normale. Anzi, se qualcuno si comporta decentemente e li aiuta, ‘mazza, c’è da rimanerci esterefatti (e rischiano pure la galera).

No, muore la gente trovata per strada con un pezzetto di fumo, o con un grammo d’erba, o che è uscita da un rave o da una discoteca e forse è un po’ di fuori.
Questi, soggetti sicuramente pericolosi, muoiono pistati dalle guardie in galera. Se non direttamente per strada, così non c’è neanche da pulire:

 
Solo per citarne alcuni.
 
Ma questi, d’altronde, mica è gente che lavora! Mica sono importanti uomini politici che gestiscono la cosa pubblica e che, quindi, hanno bisogno del sacrosanto svago, eh!
Di questi non c’è da parlare tanto, da fare tanto baccano, che le lezioni vano impartite nel locale, in viva voce, senza passare troppo per i mezzi di comunicazione.
Ma, ci si chiede: e i Democratici? Che dicono di tutto ciò?
Beh, dei morti ammazzati nulla, che poi c’è il rischio di passare di sinistra, e non sia mai! Degli altri tanto, che sai, sono l’alternativa, loro …

“Ragazzi scusateci tanto per avervi consegnato un mondo così”

Quella del titolo è una scritta, dice il manifesto di oggi, che si legge su un muro del quartiere Exarchia di Atene, in Grecia. Il quartiere dove una settimana fa la polizia ha ucciso un ragazzo di 15 anni, Andreas Grigoropoulos.

Una scritta lasciata da una maestra, si legge sul "quotidiano comunista". Una maestra, immagino, di una certa età, sicuramente non una giovane maestra a cui Kossiga sarebbe piaciuto veder tirare mazzate da parte della polizia.

Dopo una settimana di letture la cosa mi ha fatto pensare, mi ha portato a fare i conti col tempo che è passato e a fare un bilancio, iniziale, di questi anni. Con risultati quanto meno scadenti…

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La triste fine di un grande editore

E’ triste, per me, dover dare l’addio a quello che per tanti anni è stato qualcosa di simile ad un mito: Marcello Baraghini.

Ero giovane, 25 anni fa, quando studente delle superiori mi leggevo i suoi 1000 lire in metropolitana, mentre andavo a scuola. E’ con lui che ho conosciuto l’anarchia, Boris Vian, il jazz e tante altre cose che amo ancora oggi.

Poi, un paio di anni fa, la svolta: invito Marcello all’Hackmeeting di Pisa, per presentare i suoi "Bianciardini", gli eredi dei 1000 lire, ma a 1 centesimo e liberamente scaricabili dalla rete.

L’incontro ad hackit fallì, ma non il rapporto, tanto che per un tot di mesi ci si incontrò spesso e si mise su una serie di progetti, per la mia gioia.

Poi….

Poi Marcello, probabilmente per farsi pubblicità, decise di pubblicare sul blog di Ettore Bianciardi, figlio di Luciano e suo complice nell’idea e nella progettazione dei bianciardini, un post in cui non solo spiegava, ma pure rivendicava la sua partecipazione alla fiera del libro di Torino dedicata alla nascita dello Stato di Israele.

In molti, sul blog, criticammo questa scelta, sottolineando che una cosa è, giustamente, conoscere e studiare e apprezzare parte della cultura israeliana (ed ebraica in generale), altra cosa festeggiare la nascita di uno Stato che ha significato l’esilio di milioni di palestinesi e la morte di centinaia di migliaia.

Anche il sottoscritto attaccò, penso civilmente, quella scelta e da quel giorno non ebbi più il piacere di sentire Marcello (ed Ettore). Mai più. Fine dell’amicizia, fine dei progetti, fine di tutto. Di punto in bianco, senza una spiegazione, senza una telefonata, nulla.

Vabbuò, ognuno fa quel cazzo che gli pare, pensai, e proseguii per la mia strada. Fino a qualche settimana fa quando, sempre sul blog di Ettore leggo l’ennesima "provocazione" di Marcello:

"rivendicare la libertà di poter parlare liberamente di Luciano
Bianciardi e  di quello che facciamo io e Ettore, anche a Casa Pound,
ammesso e non concesso che  ci invitino e che ci sia garantita libertà
di parola e di idea".

In molti tentammo di far ragionare Marcello, ricordandogli chi sono e cosa fanno la feccia di Casa Pound (si era a pochi giorni dall’aggressione agli studenti di Roma in P.zza Navona), ma nulla.

Così si arriva ad oggi:

"Non scherzavo affatto, quando ho dichiarato  che per parlare di
Bianciardi, del Bianciardi che amo e che è l’ispiratore dei miei
quarant’anni di editoria, sarei andato volentieri da chiunque mi avesse
invitato e mi avesse garantito la libertà di espressione, anche a Casa
Pound.
E quelli di Casa Pound l’hanno saputo e, puntuali come un orologio
svizzero, ieri mi hanno invitato. Ci andrò? E che editore
all’incontrario sarei se non ci andassi, se rifiutassi l’invito o
confessassi di aver solo scherzato? E quindi mercoledì 10 dicembre,
alle ore 21, sarò ospite di Casa Pound a Roma, in via Napoleone III, 8".

Per quel che mi riguarda è la, triste, fine di un percorso iniziato almeno 25 anni fa.

Non posso accettare di condividere un percorso culturale e politico con chi legittima le merde fasciste di Casa Pound. Tanto meno quando lo si fa in un ambito di marketing da 2 lire, pur di avere visibilità e chiacchiere su di se e la propria casa editrice. Se questo è il livello raggiunto da Marcello e da Stampa Alternativa, allora meglio che chiuda, almeno ci rimarrà il bel ricordo di un glorioso passato.

Addio.